Nut Job, la recensione

Animazione un tanto al chilo, uguale a tutto il resto, intrattenimento dozzinale tarato su un pubblico generico, innocuo, privo di idee, ma poi inevitabilmente fluido e scorrevole, vedibile tanto quanto dimenticabile

Critico e giornalista cinematografico


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E' stranissimo il giro che sta facendo il cinema d'animazione.

Qualche decennio fa era in sè un genere, nonostante la sua definizione indichi un tipo di produzione e non un tipo di storie, lo stesso il monopolio Disney aveva fatto sì che anche i pochi prodotti indipendenti si adeguassero a quel tipo di racconti, scheletri narrativi e figure tipiche. Solo i giapponesi, essendo residenti su un altro pianeta, si discostavano.
Poi con la Pixar e soprattutto con la CG che abbassa i costi di produzione le cose sono cambiate (lentamente, se si guarda Toy Story non è troppo lontano dal modello Disney) e l'animazione ha smesso di essere un genere, sono arrivati Gli incredibili, Shrek, Rango, Coraline e una gran varietà di tipologie diverse di cartoni. Negli ultimi anni però il reparto si è fatto così abbordabile che ancora più studi hanno cominciato a fare cartoni, superando la fase di grande inventiva e replicando tutti i medesimi modelli, di fatto tornando ad intendere l'animazione come un genere e non come una tecnica.

Nut job è il perfetto esempio di tutto questo, un film che può essere ben definito dall'aggettivo "generico", portatore di una trama e di una serie di "messaggi" bambineschi assolutamente standard e privi di qualsiasi invenzione. L'unica idea di tutta la produzione è quella del setting, cioè il mondo degli scoiattoli dei parchi cittadini, il resto è la trasposizione delle consuete dinamiche e dei soliti personaggi, un outsider in cerca di riscatto e un gruppo che inizialmente non lo vuole ma poi ne sarà conquistato.
Ovviamente anche l'animazione non riserva alcuna sorpresa, compressa com'è tra un character design molto standard che rende antropomorfi gli animali senza cercare un guizzo di originalità e scenari impeccabili e senza mordente.

Questo ovviamente non pregiudica il buon ritmo e la sostanziale fluidità di un film che, come sempre, è vedibile senza nessun problema, pur se inscrivibile di diritto nella categoria dei sottoprodotti, della seconda fascia della produzione d'animazione, quella che recepisce con molto ritardo i grandi cambiamenti avvenuti e si adegua ad essi senza discuterli, replicando in chiave solo leggermente moderna quelle dinamiche che il cinema americano sfrutta da sempre.

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