Non dico altro, la recensione
Cinquantenni in cerca d'amore e bisognosi di mettere una pezza agli errori del passato. Fatevi largo: il cinema della terza età si è aperto anche alla seconda
L'ultimo film con James Gandolfini è una commedia per 50enni, un film dal target ben preciso. Decisamente poco divertente e tutto centrato su un espediente al limite del teatrale, Non dico altro caccia via dalla sala o dal monitor qualsiasi under 40 mettendo in scena un mondo dai riferimenti buoni solo per la generazione anni '60, prendendo in giro senza nessun senso i più giovani (la battuta ricorrente è sulle abitudini sessuali disinibite dei ragazzi d'oggi, abbastanza ridicolo da parte di chi è cresciuto negli anni dell'amore libero) e infine interessandosi solo a quei drammi dei propri personaggi legati al loro essere invecchiati.
Come in molto cinema per la terza età anche qui l'unico problema sembra essere l'anagrafe, anche se i personaggi non sono vecchi ma semplicemente 50enni. E' evidente dunque la volontà di sperimentare quel tipo di format (il cinema anagrafico) anche per target che non siano gli anziani, continuando a fondare tutta la psicologia dei personaggi sui figli e sul rapporto conflittuale instaurato con i più giovani o con il proprio passato (cioè se stessi da giovani).
Nella storia dei due protagonisti ha infatti un'importanza fondamentale il retaggio di ciò che si sono lasciati alle spalle, quello che hanno fatto e la possibilità di rimediare ora a quel che è successo in passato, aggiustando ciò che pare rotto inevitabilmente.
A parte dunque il fatto che non faccia ridere, non coinvolga e non appaia sincerto in nessun momento, Non dico altro è anche un film che fa dell'autocommiserazione la sua sottotrama principale.