Man On Wire

1974. Philippe Petit, un funambolo francese tenta un'impresa impossibile: camminare su un filo posto tra le Torri gemelle. Finalmente, al Festival di Roma arriva un capolavoro. Peccato che sia rimasto nascosto...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloMan On WireRegiaJames MarshCastPhilippe Petit, Annie Allix, Jean-Louis Blondeau, Alan Welner
Uscita

Scelte curiose quelle del Festival di Roma. Si presentano in pompa magna pellicole francamente brutte (soprattutto quelle italiane) o che sono uscite da tempo all'estero (La duchessa, Rocknrolla, Appaloosa). Ovviamente, visto che sono in concorso o degli eventi mediaticamente importanti, ecco che i soloni della critica accorrono per dare il loro parere. Intanto, arriva un documentario che oltreoceano hanno già definito il più bello dell'anno, Man on Wire, anche se ovviamente non si può pretendere che certi 'giornalisti' si informino in merito, tra un buffet e l'altro. Cosa decidono i selezionatori del Festival? Di non fare neanche un'anteprima per gli accreditati, costringendo chi volesse godersi l'esperienza o a fare una fila interminabile per prendere un biglietto (e magari non riuscirci) per le proiezioni all'Auditorium o comprare (a prezzo strapieno) un posto al cinema del centro che lo proietta. Della serie, come sostenere il buon cinema. Ma ne parleremo meglio in un articolo riassuntivo sul festival e su tutte le sue magagne. 

Detto questo, passiamo all'entusiasmante Man on Wire, veramente un prodotto degno di vincere l'Oscar. In primis, si nota immediatamente un grandissimo lavoro di ricerca da parte del regista James Marsh (autore dell'apprezzato The King, con Gael Garcia Bernal e William Hurt), forse anche grazie all'autobiografia di Philippe Petit (che non ho ancora letto). Lo si capisce da tanti momenti deliziosi, magari non direttamente collegati alla storia che si racconta, ma che sono in grado di arricchirla e che dimostrano una grande attenzione all'oggetto del proprio interesse.

La struttura dell'opera è una delle cose più interessanti. Ci si chiede come si manterrà la tensione per un'ora e mezza per un'impresa di cui conosciamo già il risultato. Bene, la soluzione è tanto semplice quanto efficace: alternare i momenti del 'blitz' (o "il crimine artistico del secolo", come lo ha definito qualcuno) con le passate imprese (tra cui quella a Notre Dame, assolutamente deliziosa per come viene raccontata) e con la preparazione metodica del 'colpo'. Peraltro, va detto che non si parla mai direttamente degli attentati dell'11 settembre alle Torri gemelle e forse è una scelta intelligente, ma comunque è impossibile non pensarci durante la proiezione.

E poi, il tono (o meglio, i diversi toni) di questo documentario è geniale. Ci sono momenti da thriller puro, quando vediamo le difficoltà e i rischi per compiere questa impresa, con una presentazione dei personaggi avvincente e una ricostruzione fantastica che fonde materiale d'archivio con scene ricostruite e che tiene avvinghiati alla poltrona nonostante si sappia bene quale sia il risultato finale. Il tutto, con le straordinarie muciche di Michael Nyman, che, anche se non sono originali (ma tratte dalle vecchie pellicole di Peter Greenaway), risultano perfette per l'occasione. Ma ci sono anche, in maniera più sorprendente, dei tocchi assolutamente poetici e leggerissimi (quindi, forse proprio per questo molto profondi). Basti pensare ai filmati delle prove di Petit in un giardino attorniato dai suoi amici, momenti che sono truffautiani al 100%.

Inoltre, in un periodo come il nostro, in cui tutte le 'imprese' sportive vengono sponsorizzate e preparate come una campagna militare senza badare a spese, è bello vedere che dietro a questo exploit c'è un gruppo di persone comuni, alcune delle quali francamente neanche troppo preparate (esilarante il momento in cui si scopre che uno dei partecipanti si è fatto una canna il giorno prima). E quando ti aspetti il trionfo, ti rendi conto che realizzare un'impresa straordinaria può anche avere dei risvolti tristi, in un finale malinconico che francamente arriva in maniera completamente inaspettata, ma che risulta quanto di più maturo e intelligente ci possa essere per concludere un documentariostraordinario. Speriamo che se ne accorgano anche in Italia...

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