[Lucca 2013] L'Arte della Felicità, la recensione

Dopo Arrugas, Lucca Movie prosegue all'insegna dell'animazione: ecco la recensione di L'Arte della Felicità di Alessandro Rak...

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L'arte della felicità è il titiolo di uno dei libri più famosi di Tenzin Gyatso, meglio noto come quattordicesimo Dalai Lama, il leader spirituale del buddhismo tibetano. Alessandro Rak, regista e sceneggiatore napoletano da sempre affascinato dal mondo spirituale d'oriente, ha deciso di intitolare nello stesso modo il suo nuovo film d'animazione, già mostrato durante la Mostra di Venezia e riproposto in questi giorni qui a Lucca.

Partendo dalla vicenda di Sergio, un tassista napoletano con più d'un segreto (e una serie di conflitti familiari irrisolti), il regista costruisce un viaggio onirico che accompagna lo spettatore fra i quartieri spagnoli di Napoli e le pendici dell'Himalaya. Il fratello del protagonista, infatti, ha scelto di trasferirsi in un monastero buddhista in India, abbandonando una promettente carriera artistica distruggendo insieme alle sue ambizioni anche quelle di Sergio. Nel corso dell'ora e mezza di film Alessandro Rak, però, sembra incapace di tirare le fila del discorso complessivo, perdendosi in mille suggestioni e abbandonandosi una sorta di autocompiacimento intellettuale che, purtroppo, non porta da nessuna parte. Troppo impegnato nel mischiare stereotipi new age e classici stilemi del cinema napoletano, Rak purtroppo perde molto presto di vista il quadro complessivo, consegnandoci un film non riuscito che fra monnezza, il Vesuvio che erutta, discorsi sull'anima e interminabili giri in taxi perde sé stesso anziché ritrovare l'anima del suo protagonista.

L'arte della felicità avrebbe potuto rappresentare un esperimento interessante, uno dei primi veri tentativi dell'animazione italiana di emanciparsi dai ristretti limiti del cinema per ragazzi. Purtroppo, forse schiacciato dalle sue stesse ambizioni, il film di Alessandro Rak non riesce mai ad alzarsi veramente, rimanendo, nel complesso un'opera piccola, provinciale, figlia di un cinema incapace di emanciparsi dai ristretti confini nazionali.

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