Lo Spaventapassere, la recensione
Un film tutto ripiegato su Jonah Hill e il personaggio che altre opere gli hanno costruito addosso, incapace di un punto di vista interessante o originale su quello che racconta...
Fin dalla locandina statunitense l'intenzione di Lo spaventapassere è chiara e potrebbe essere definita come nerdxploitation, cioè la volontà di sfruttare al massimo in qualsiasi situazione e senza eccessiva meticolosità nella scrittura, lo stereotipo del nerd creato intorno a Jonah Hill da molti degli ultimi film cui ha preso parte. Già da quel volto mezzo spiritato che richiama la medesima espressione nella locandina di Superbad è chiaro che Lo spaventapassere nasce sotto gli auspici peggiori. Ci vogliono però gli 81 minuti di durata per decretare che nemmeno la maestria di David Gordon Green l'ha potuto salvare.
In quest'odissea però ogni situazione rimanda a qualcos'altro, ogni idea appare derivativa e la brutta copia di una gag già vista o di un momento già conosciuto.
Mentre Strafumati (ad oggi forse il film migliore e più disinvolto nella sua follia di David Gordon Green) era scritto da Seth Rogen e Evan Goldberg (Da Ali G Show, I simpson, Superbad, Green Hornet), qui la sceneggiatura è firmata da Brian Gatewood e Alessandro Tanaka, che al proprio attivo contano solo la serie tv Animal Practice e che dimostrano di non avere eccessivo interesse in questo tipo di comicità e nelle possibilità del filone cui Lo spaventapassere vorrebbe appartenere.
Non è infatti la mancanza di originalità ad annoiare, quella spesso contamina anche il cinema migliore, quanto la mancanza di interesse e di partecipazione di chi scrive nella materia raccontata. Le migliori commedie sul nerdismo contemporaneo hanno dato prova di riuscire a trattare i propri soggetti con il medesimo atteggiamento con il quale i nerd sono soliti trattare se stessi e i propri amici, affiancando ad una presa in giro spesso feroce anche un affetto che passa sottopelle, senza enfasi e con molta malinconia.