Lo Hobbit: un Viaggio Inaspettato, la recensione [1]
Ecco la prima delle numerose recensioni dello Hobbit: un Viaggio Inaspettato che vi proporremo nei prossimi giorni. Questa a cura di Andrea Porta...
Recensione a cura di Andrea Porta
Leggi la recensione di Francesco Alò
Da questa semplice frase, secondo le testimonianze di amici e parenti di J.R.R. Tolkien, è nata la Terra di Mezzo.
In questo senso, le analogie tra il protagonista dell’avventura e il regista neozelandese sono sorprendenti. Entrambi eroi riluttanti, si trovano costretti a superare le proprie paure a causa di un imprevisto, di un vero e proprio Viaggio Inaspettato. Nel caso di Bilbo Baggins, la comparsa dello stregone Gandalf e dei tredici nani, nel caso di Sir Jackson, le difficoltà legali, la malattia, l’obbligato abbandono del progetto da parte di Guillermo Del Toro.
“Ogni buona storia ha bisogno di qualche abbellimento” dice Gandalf a Bilbo a pochi minuti dall’inizio della pellicola, e, curiosamente, le parole dello stregone si rivelano profetiche. La necessità di inquadrare l’opera come un prequel del Signore degli Anelli e la decisione di trarre ben tre pellicole di lunga durata dal breve romanzo hanno reso necessario un lavoro di espansione del materiale d’origine, firmato come sempre dalla coppia Boyens/Walsh, con contributi dello stesso Jackson e di Del Toro. Attingendo dagli Annali e lavorando talvolta di pura fantasia, il quartetto ha arricchito lo svolgimento con un lungo prologo, utile a chiarire le motivazioni dei Nani e i veri scopi del viaggio. Distaccandosi dalla narrativa di Tolkien, che parte dal basso e lascia al lettore il compito di rileggere gli eventi precedenti in un’ottica più vasta, nella sua natura di prequel Lo Hobbit inquadra da subito il viaggio come l’epica battaglia di un popolo nel tentativo di riconquistare la propria terra, e non una semplice avventura in cerca di ricchezze. Se questo intervento a livello di sceneggiatura è comprensibile, oltreché funzionale nel rendere credibili le motivazioni di Bilbo, molto meno gradito è il forzato inserimento di un villain e di una spalla comica, quest’ultima incarnata dallo stregone Radagast.
Quando tuttavia la pellicola torna sui più sicuri binari del romanzo, il tono iniziale si rivela piacevolmente fiabesco, con qualche (sospirata) attenzione in più per le celebri canzoni e un dichiarato amore per figure dei nani, molto ben stilizzate tanto nell’immagine quanto nei tratti caratteriali. Se in queste fasi, ancora introduttive, Un Viaggio Inaspettato sembra volersi discostare dall’epica della trilogia dell’Anello, nella seconda metà dello svolgimento i richiami ad essa si fanno molto più forti ed evidenti, un autocitazionismo che finisce per rovinare alcune sequenze, rendendole in qualche modo già viste, telefonate.
Sebbene il lungo prologo e la parte centrale protratta appesantiscano lo svolgimento, per sua natura poco propenso ai montaggi incrociati, le quasi tre ore di durata non si fanno sentire in maniera eccessiva, grazie alla fitta alternanza tra sequenze dialogiche e d’azione.
Queste ultime, decisamente dilatate rispetto alle sintetiche descrizioni di Tolkien, trovano in Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato una dimensione a tratti nuova e particolare, a metà tra l’epico e il fiabesco, con un tocco di cartoon che non può non ricordare le prodezze Spielbergiane di Tintin e il Segreto dell’Unicorno. L’utilizzo degli effetti visivi è massiccio ma sempre dosato con mano esperta, i combattimenti coreografati con un’eleganza mai raggiunta dalla vecchia trilogia.
Proprio come anticipato dal regista neozelandese, i 48 fps sono inizialmente difficili da digerire, ma, trascorsa una mezz’ora o poco meno, l’occhio si abitua, permettendo allo spettatore di godere della definizione senza precedenti sfoggiata dalle immagini in movimento. Si tratta di lasciare il tempo alla storia stessa di decollare, dopo i due lunghi prologhi, e far sì che gli occhi si spalanchino di fronte a panoramiche mozzafiato, arricchite da un 3D nativo molto ben architettato, sviluppato principalmente in profondità. Di fronte alla scelta tra visionare la pellicola con i tradizionali 24 fps o in HFR, è bene tenere presente che la maggiore fluidità, trascorsi i primi minuti di adattamento, giova all’immersività, rendendo ogni scena pulita e vivida. Proprio questa assenza di sfocature in movimento, questa assoluta pulizia di ogni dettaglio, rischiano perlatro di rompere l’incantesimo scenico, minando l’epicità delle immagini con una verosimiglianza quasi eccessiva.
La Nuova Zelanda si veste, ancora una volta, da Terra di Mezzo in maniera perfetta, aiutata dallo straordinario lavoro degli studi Weta, abilissimi come sempre nell’alternare l’utilizzo delle miniature alla CGI.
Quanto ai fan di Del Toro, a coloro che avrebbero desiderato ardentemente scovare qualche residua traccia della “sua” Terra di Mezzo, Un Viaggio Inaspettato non riserverà molte sorprese. Con l’eccezione di un certo re dei Goblin, troppo bizzarro e deliziosamente “fuori luogo” per essere tutta farina del sacco di Jackson, l’impianto scenico rimane decisamente sul sentiero tracciato dalla trilogia dell’Anello.
In ogni caso, il momento più alto di Un Viaggio Inaspettato non è da ricercarsi tra le rocambolesche battaglie, i maestosi campi lunghi o i canti nanici. Si nasconde semmai tra gli angoli bui di una caverna silenziosa, dove di stenti vive una viscida creatura, che sfiderà il protagonista Bilbo ad un letale gioco di indovinelli. In questa serratissima mezz’ora le performance di Martin Freeman e Andy Serkis non temono confronti, portando al pieno successo una sequenza di vitale importanza per la riuscita del film.
I restanti membri del cast fanno anch’essi un ottimo lavoro, su tutti un Sir Ian Mckellen in grado di dare al suo Gandalf un volto più “giovane”, ora umorale, ora inaspettatamente indifeso, e un Richard Armitage perfettamente capace di trasmettere tutto l’orgoglio e la tenacia che caratterizzano Thorin Scudodiquercia. Peccato per lo scarso spazio lasciato al resto del gruppo dei nani, i quali, nonostante l’ottima caratterizzazione, finiscono per apparire più come macchiette che personaggi a tutto tondo.
La colonna sonora, firmata ancora una volta da Howard Shore, non riesce a proporre temi memorabili quanto quelli proposti, a suo tempo, da La Compagnia (e, non a caso, ripropone più volte rielaborazioni dei temi tipici della trilogia dell’Anello), con un’unica eccezione: la Canzone della Montagna Solitaria, firmata da Neil Finn, accompagna nella sua forma originale una sequenza notevole, e le sue rielaborazioni si susseguono con successo lungo diverse sequenze d’azione.
Per quanto parli un linguaggio ormai ben noto ai conoscitori della prima trilogia, e si conceda un autocitazionismo a tratti troppo compiacente, Lo Hobbit: Un Viaggio Inaspettato è un’ulteriore conferma delle capacità di Peter Jackson, dimostratosi all’altezza del non facile compito nonostante le sue stesse incertezze. Un Viaggio Inaspettato merita sicuramente una promozione, sebbene non a pieni voti, per l’audacia visiva, la regia curata, l’azione dirompente. Gli affezionatissimi del libro gli riconosceranno un’aderenza esasperata all’epica della trilogia dell’Anello e una lunghezza eccessiva, ma i momenti dal sapore fiabesco e lo splendido scambio nella caverna, vera chiave di volta di tutta la pellicola, sapranno nondimeno affascinarli.
Così come oggi ci troviamo a valutare La Compagnia dell’Anello in retrospettiva, considerandolo parte di un tutto, il vero e definitivo giudizio su Lo Hobbit potrà tuttavia arrivare solo alla quadratura del cerchio, quando il viaggio di Bilbo avrà fine, e quello di Frodo potrà, nuovamente, cominciare.
Le premesse sono familiari, e buone, ma il Viaggio è appena cominciato.