La mossa del pinguino, la recensione

L'esordio di Claudio Amendola come regista è una commedia all'inglese che sfrutta espedienti di provato successo (altrove) e si appoggia su due sicurezze...

Critico e giornalista cinematografico


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Per il suo esordio da regista Claudio Amendola è rimasto nella sua zona più comfortevole per sè, scegliendo due caratteristi come Ricky Memphis e Antonello Fassari a cui potersi aggrappare in ogni momento per rimettere in piedi il suo film ogni qualvolta dovesse cadere. Non è solo questione di amicizia personale ma proprio di avere la certezza di riuscire a mantenere la storia ancorata ad una radice di comicità romanesca che per ovvie ragioni è la più vicina a sè, la certezza di due colonne del caratterismo romano a cui far fare i vogatori in modo da non annoiare mai.

La forza propulsiva del film invece è l'esigenza di parlare di sport senza farlo direttamente, affrontando una disciplina oscura e da noi nota solo per essere strana com'è il curling, in modo da andare davvero alle radici di cosa ci sia dietro la passione sportiva, trascurando tutto ciò che la scelta di uno sport più comune come il calcio si sarebbe portato dietro.

Attorno ad un protagonista inguaribile sognatore di imprese sportive e business improbabili, Amendola orchestra una storia di derelitti con il piglio (ma non l'ironia) della commedia inglese. Un ristretto numero di persone, dalle poche virtù e sostanzialmente falliti, che si misura con qualcosa nettamente fuori dalla propria portata, cercando di barcamenarsi tra sogni di grandezza e realtà di pochezza, bollette, difficoltà e soprattutto quel muro da scavalcare costituito dal fatto che nessuno creda nell'impresa in questione.
Ed è in questo senso apprezzabile quanto il film scenda in basso nel descrivere la misera ma dignitosa umiltà dei protagonisti (lo so, dovrebbe essere la norma ma non lo è nel nostro cinema), senza porsi problemi ma anzi trovando un certo senso nel dipinto realistico, sebbene in forma di commedia, dei personaggi agiti.

Quel che però rende La mossa del pinguino un filmetto piccolo nel senso peggiore del termine è la sua rassegnazione ad essere derivativo. Non solo non ambisce a creare un proprio linguaggio o anche solo a dispiegare un racconto semplice e autonomo, Amendola utilizza luoghi comuni del linguaggio cinematografico per le già scontate finalità, sovrapponendo così noto a scontato. Sono decisioni come quella dell'uso del tema principale di Momenti di gloria nel finale, il tic con il labbro del protagonista preso da Divorzio all'italiana e una lunga scia di altre soluzioni che affogano nel ripetitivo e consueto un film che invece, di suo, uno spunto originale lo aveva.

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