La gente che sta bene, la recensione

Come moltissimo cinema italiano degli ultimi 20 anni anche il nuovo film di Patierno si contamina ma solo un poco con il genere (in questo caso il thriller) risultando in un ibrido poco sensato e poco potente

Critico e giornalista cinematografico


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Ci ha provato Francesco Patierno, impossibilitato a fare il cinema che vorrebbe, quello che sente più urgente e che di conseguenza gli riesce meglio (si veda il suo esordio, Pater Familias, un cazzotto allo stomaco straordinario girato allontanandosi da tutto quello da cui ci si può allontanare e avvicinandosi alla realtà meno conciliante con una partecipazione sprezzante di ogni pericolo), si è dovuto dedicare alla commedia che incassi senza trovare mai un compromesso accettabile. Ora con La gente che sta bene cerca di ribaltare l'esigenza di fare un cinema "divertente" per cercare di realizzare anche qualcosa che abbia un senso, trovando in Claudio Bisio la spalla adatta (è legato alla commedia come immagine ma è determinato a fare di più anch'egli).
Purtroppo il risultato non è nè carne nè pesce.

La storia è quella di un avvocato con velleità di scalata sociale. Parte di uno studio di buon livello, non si fa scrupoli a licenziare e quando invece è lui il licenziato si attacca alla possibilità che sembra piovergli dal cielo di entrare in un grandissimo studio internazionale che sta aprendo in Italia, per avere una rivincita su chi l'ha scaricato. Per fare questo entra in contatto con il più importante avvocato d'Italia e con la sua ennesima moglie (più giovane e bella). Intanto in famiglia crolla il fronte interno per una gravidanza inattesa e la giovane, bella e insoddisfatta moglie del nuovo amico potente pare diventare appetibile.

Purtroppo quel che accade è che più avanza la storia più il film si fa serio e contemporaneamente all'ingresso della seriosità (e quindi del dramma) arriva il genere. La gente che sta bene finisce come un thriller, operando quella contaminazione che è la caratteristica di moltissimo cinema italiano degli ultimi 20 anni, cioè sporcare solo pochissimo con un pizzico di elementi di genere una storia che altrimenti avrebbe retto anche da sè. Questo timido sporcarsi le mani con pochi elementi molto riconoscibili del cinema di genere dovrebbe essere qualcosa di estremamente raffinato ma il risultato è quasi sempre il contrario, molto lieve e banale (che razza di femme fatale senza mordente è il personaggio di Jennipher Rodriguez?).

In La gente che sta bene il thriller entra a prendere il posto della commedia quando il film si vuole fare violento e audace, appiattendo tutto su un livello che è convenzionale (nei termini del thriller per l'appunto) e molto prevedibile non tanto nei fatti quanto nelle svolte umane.

Si diceva inizialmente che Patierno ci ha provato perchè questa commedia vuole usare il linguaggio dell'umorismo per andare molto a fondo, per lasciare dei piccoli buchi che possano essere completati con il dramma in modo da contaminare il linguaggio del film e riuscire a far passare un livore e un senso profondo d'ingiustizia umana. Quell'ingiustizia umana che è la condizione in cui i più inclini ad accumulare status vengono condotti non solo dalla crisi economica ma anche da quella maniera di negarla e continuare ad inseguire un benessere senza più senso. Tutto questo marcisce di fronte alle dinamiche troppo improvvise e troppo grottesche del drammatico, mai sposato con la commedia ma quasi in opposizione ad essa, quasi in arrivo per nobilitare il film.
La domanda che insomma viene da farsi di fronte al finale di La gente che sta bene è se una commedia pura, lavorata di fino sulle situazioni e con molta violenza sul cattivo insito negli ambienti ritratti, non sarebbe stata più efficace.

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