La Bottega dei Suicidi, la recensione
La Bottega dei Suicidi poteva essere un cartoon molto originale e invece si rivela convenzionale nella storia, nelle idee e nella realizzazione...
A Parigi, in una specie di realtà più grigia della nostra in cui tutti vogliono morire e il suicidio è grottescamente illegale (chi viene trovato morto riceve una multa salatissima), una bottega aiuta la gente a uccidersi fornendo tutto l'occorrente sia per essere certi del risultato che per farlo in grande stile o anche solamente nella maniera che si preferisce. Così, con il massimo della melliflua ruffianeria da mercante, la famiglia di bottegai vende agli avventori cappi, veleni, coltelli e via dicendo. Il dramma inizia quando l'ultimo nato sembra inspiegabilmente pieno di gioia di vivere invece che essere depresso come i fratelli.
Laconte sfrutta un tratto abbastanza familiare all'animazione francese (non siamo distanti da Chomet) per un cartone volutamente adulto nei temi e nell'esposizione che, per compiere il suo percorso dalla depressione alla gioia, non disdegna di camminare per il sentiero della scoperta personale dell'erotismo.
Poteva essere molte cose questo film, da un modo interessante di parlare della libertà di scelta, ad un inno al diritto di pensarla come si vuole, fino ad una commedia grottesca spinta. Invece non è nulla, un cartone che ben presto si rivela convenzionale sia nella storia, che nelle idee, che nella realizzazione.