Venezia 69 - Bella Addormentata, la recensione

Il film di Marco Bellocchio che tutti ameranno amare è un'opera di mostruosa visionarietà... ma non per i motivi che credete.

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono tre persone in bilico tra vita e morte: Eluana Englaro, che il padre vorrebbe lasciar morire ma una parte agguerrita dell'opinione pubblica e politica no; la figlia in coma vegetativo di una nota attrice cattolica, che il fratello vorrebbe lasciar morire e la madre tiene in vita tra rose, rosari e suore; una tossica che si è tagliata le vene e tenta di buttarsi di sotto appena può, che il medico che l'ha in cura in ospedale cerca di mantenere in vita. I personaggi delle seconde due storie seguono con apprensione le notizie televisive sull'esito della prima. In più c'è un politico della maggioranza, che in passato ha staccato la spina alla moglie malata in fase terminale su sua esplicita richiesta, che dovrà votare ma non intende seguire necessariamente le indicazioni del proprio partito; per questo motivo la figlia, cattolica, non gli rivolge la parola.

La chiesa come istituzione castrante e confinante, la malattia mentale dei propri famigliari, un protagonista che vaga nel dubbio e la psicanalisi. Tutto le bellocchiate trovano posto attorno alla storia reale degli ultimi due giorni di vita di Eluana Englaro.

Una volta tanto è importante riassumere il quadro degli eventi che animano il film, perchè il gioco di rimandi tra le parti in causa (chi vuole mantenere in vita a tutti i costi e chi invece desidera lasciar morire) è la parte ideologicamente migliore di Bella addormentata, la più complessa e meno scontata. Bellocchio parteggia per la libertà di scelta e lascia che questo emerga nella storia che meno ti attendi, facendo sì che a battercisi contro sia chi vorrebbe staccare la spina e non chi la vuole mantenere attaccata.

Purtroppo è solo in questo caso che la complessità prevale sulla semplicità, perchè per il resto Bella addormentata gira dalle parti del prevedibile con punte di populismo quando a essere trattato è il tema della politica. Era il tranello più grande di un film su un caso simile, così determinato a essere a tesi e Bellocchio non l'ha evitato, anzi l'ha cavalcato. Il risultato è un film che consola chi la pensa in un certo modo mentre la speranza era che potesse fare il lavoro del cinema: smuovere tutti dalle proprie certezze, a prescindere da quali siano.

Eppure esiste un'altra dimensione di Bella addormentata, prettamente visiva, di ragionamento sulle immagini, capace di toccare vette di straordinaria maestria e inedita riflessione. Il modo in cui è rappresentato il parlamento (sempre attraverso dei monitor, presenti ovunque in maniera ossessiva), la maniera in cui sono mostrate le sue discussioni e la figura del politico Servillo, che si muove con il dubbio, l'incertezza e da un momento in poi la ferma volontà sovversiva del Castellitto di L'ora di religione, riescono a suggerire più di tutto il film. Quando i parlamentari escono dall'aula, li si vede sulla porta e dietro di loro l'aula in questione è un telo su cui è proiettata un'immagine gigante (video) del parlamento. Nelle terme buie si consumano esilaranti confessioni dei politici ansiosi e malati (avvolti in asciugamani che li avvicinano ad antichi romani) ad uno tra i più anziani di loro, che è anche psichiatra.

Bellocchio è davvero l'unico in Italia oggi a riflettere sul senso delle immagini che vediamo ogni giorno attraverso la manipolazione che fa di queste nelle sue di immagini. In quel capolavoro di Vincere, nella chiesa adattata a ospedale faceva appendere un telone in alto davanti all'altare su cui veniva proiettato un altro crocefisso, quello di un film muto. Qui più della politica gli interessa il modo in cui la percepiamo, cioè in video, e se i discorsi sulla povertà d'animo dei politici cavalcano con poca fantasia quel che molti amano pensare, le intuizioni di grottesco suggerite con la fotografia di Daniele Ciprì sono divine e in grado di aprire nuovi orizzonti di senso sul più trito degli argomenti, ovvero la politica dello spettacolo e della rappresentazione.

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