Immortals - la recensione

Tarsem Singh passa al cinema mainstream: Immortals è un film che mette in evidenza meriti e limiti di un regista visionario, con un grande Mickey Rourke...

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Tarsem Singh non è un regista prolifico. Piuttosto conosciuto per i suoi numerosi lavori pubblicitari e i suoi videoclip musicali, ha realizzato solo tre lungometraggi in dodici anni: The Cell, The Fall e Immortals.

Quest'ultimo rappresenta una vera svolta: è infatti il primo di due film commerciali che ha accettato di dirigere per la Relativity Media (l'altro è Mirror Mirror, attesa rivisitazione della fiaba di Biancaneve già girata e attualmente in post-produzione).

Immortals si contrappone nettamente a The Fall: il film del 2006 era stato girato in esterni con le tecniche di un secolo fa, questo è stato girato completamente in teatro di posa con un uso ingente di effetti visivi. The Fall era un film molto personale, una fiaba semplice e complessa al tempo stesso (e, non dimentichiamo, un omaggio al cinema di una volta), mentre Immortals è un prodotto di intrattenimento basato su un racconto breve ispirato a sua volta alla mitologia greca. Purtroppo per Tarsem il passaggio al cinema mainstream non è stato indolore: in Immortals emergono in egual misura le qualità di questo regista e il suo limite più evidente (e dichiarato), ovvero il suo disinteresse nei confronti della trama e nello storytelling.

Gli sceneggiatori Charley e Vlas Parlapanides propongono una sorta di peplum rielaborato (il parallelo è più con Scontro tra Titani che con 300, nonostante nel parlare del film tutti si riferiscano più a quest'ultimo titolo) che in sè ha anche delle idee interessanti: un eroe e un villain entrambi ossessionati dal tramandare se stessi, il mito greco reinventato (molto bella sia la resa del minotauro che del labirinto, così come alcune trovate legate agli dei), un'Oracolo che non vuole vedere il futuro. Ma lo svolgimento della trama si traduce in un'insieme di situazioni già viste e dialoghi già sentiti, senza dare luogo a qualcosa di davvero originale.

Il problema di Immortals è poi l'assenza di un discorso coerente in termini di ritmo: Tarsem non si preoccupa infatti di scandire in maniera omogenea i semplici passaggi della trama, e così nel costruire messe in scena curate e visivamente straordinarie finisce addirittura per sottolinearne i punti deboli, alternando lunghi momenti di pura contemplazione (che ironicamente corrispondono ai dialoghi più banali) a concitate scene d'azione estremamente violente. Addirittura, a volte costruisce scene visivamente straordinarie ma prive di alcun senso logico (l'immagine dei protagonisti che si ripuliscono dopo il maremoto è fantastica, ma per quale motivo il mare era pieno di petrolio?).

Anche le scelte in termini di cast appaiono discontinue: se da un lato Henry Cavill dimostra di avere una presenza e un carisma da eroico protagonista, così come l'Iperione di Mickey Rourke risulta di gran lunga il personaggio meglio caratterizzato (merito probabilmente anche del lavoro dello stesso attore) - e infatti sarà il confronto fisico finale tra loro due la scena più coinvolgente dell'intero film - dall'altro Freida Pinto non riesce a rendere tridimensionale la scialba Fedra.

Dove Tarsem mantiene tutte le promesse è sul piano visivo, quello che evidentemente a lui interessa di più: il regista di origine indiana costruisce le proprie inquadrature ispirandosi ai quadri pre-rinascimentali e caravaggeschi, infarcendole di dettagli che non derivano unicamente dalla cultura greca, anzi: come sempre c'è tanto del suo gusto personale, tanti riferimenti a Parajanov e tanta originalità (soprattutto nei costumi del premio Oscar Eiko Ishioka). E così alcune immagini sono senza dubbio indimenticabili (soprattutto l'Olimpo), altre meno riuscite (il realismo fiabesco tipico di Tarsem a volte cade davanti all'uso degli effetti visivi).

E poi c'è il 3D: Immortals presenta una delle riconversioni più riuscite e interessanti finora, anche perché voluta fin dall'inizio. Se il 3D di James Cameron propone una immersività con fini narrativi (e anche per questo il regista insiste tanto sul girare i film direttamente in stereoscopia), quello di Tarsem è un 3D con fini estetici, proprio come il suo cinema. Riconvertendo le immagini in post-produzione (ma costruendole sin dall'inizio in tre dimensioni, la decisione di realizzare il film in 3D è stata infatti presa sin dall'inizio) il regista è riuscito a creare una sorta altorilievo scultoreo in movimento.

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