Il potere dei soldi, la recensione
Dal regista di 21 un altro film di inganni e doppi giochi che manca completamente il bersaglio...
C'è una mitologia precisa intorno ai grandi inganni aziendali, recentemente riportata in auge da Slevin - Patto Criminale, e Il potere dei soldi vuole rifarsi ad essa non disdegnando uno sguardo proprio a Slevin, certo dopo averlo asciugato della sua ironia e averci iniettato pesanti dosi di pretenziosità.
Il protagonista ha una startup e va a proporre la sua applicazione ad un pezzo grosso di una gigantesca compagnia. Fallisce, scappa con la carta di credito aziendale, viene beccato e costretto a fare l'infiltrato nella società rivale, iniziando un clamoroso gioco al gatto col topo, perchè nella società rivale c'è un altro grande magnate e i due si accusano a vicenda di rubarsi le idee.
Il punto è che il film di Luketic (quello di 21) vorrebbe essere un'opera sia sul controllo che le tecnologie consentono, sia sulla scelta di un ragazzo, sul momento in cui deve capire che il mondo in cui desidera entrare non ha i valori che il padre (Dreyfuss) gli ha impartito. Da questo scontro nasce il conflitto principale del film.
Alla fine si fa più il tifo per Harrison Ford e i suoi capelli rasati o per il tono british di Gary Oldman che per la mancanza di carisma di Liam Hemsworth, risultando in una costante frustrazione delle proprie aspettative per il film.