Il grande match, la recensione
Buonissimo, smielato e sconfortante nel suo progressivo svelarsi come un film sulla rivincita degli anziani, è forse il tonfo peggiore della carriera di De Niro e Stallone...
Forse il dettaglio principale da notare, quello che segna tutto il film e racconta meglio di ogni altro elemento la sconclusionata operazione, è che a dirigere questo dramma di boxe sia stato messo un regista di commedie, spesso demenziali.
Nonostante ottemperi a tutte le regole del film di boxe secondo Stallone (personaggi outsider, perdenti in attesa di rivincita che per il momento hanno rinunciato ad avere la seconda occasione che la storia gli dà, un contesto moderno che non li comprende, un mondo dei media che li sfrutta, un training montage e un incontro che a sorpresa lascia emergere più il cuore individuale della forza sportiva), Il grande match in realtà tradisce la sua vera natura nella parte finale. E' infatti nella maniera in cui si sceglie di chiudere la storia dei due grandi rivali di una volta che si reincontrano sul ring per soldi a svelare come il film sia un'operazione "non è mai troppo tardi" non diversa da Uomini di parola (in cui c'era già Alan Arkin) o Last Vegas (in cui c'era sempre De Niro) per come si rivolge ad un pubblico anziano riproponendogli i suoi miti, intenti a rimettere in scena ciò per cui sono noti, blandendo la terza età.
Eppure non è questa la parte peggiore di un film che, anche a prescindere dal genere cui appartiene, dal poco senso della sua storia e dalla sostanziale inutilità del trattamento (cosa vorrebbe significare tutta questa parabola!?!), è scritto molto male.
Dialoghi cretini, battute poco divertenti, personaggi prevedibili, un continuo giocare sull'immaginario fondato da altri film (specie Stallone fa avanti e indietro tra le immagini di Rocky) e soprattutto la pigrizia di risolvere ogni situazione senza nessuna cura per ambienti e inquadrature (non parliamo nemmeno delle scene di boxe), rendono l'esperienza di visione di Il grande match un incubo e contemporaneamente il tonfo produttivo più basso per la carriera di entrambi i protagonisti.
Rocky VI, che condivide molto con questo film (la trama è quasi una copia se non ci fosse in più il personaggio di De Niro), aveva un altro afflato e sembrava la sincera e amara metafora della vita di Stallone stesso, come se personaggio e suo creatore/attore procedessero di pari passo nel tentativo di ritornare a fare quello che facevano una volta, risultando in una grande celebrazione dell'icona stessa. Questo salvava e elevava moltissimo l'operazione. Il grande match chiaramente è totalmente privo di una simile forza muscolare e così rimane solo uno scheletro intirizzito.