Il Cavaliere Oscuro - il Ritorno, la recensione [2]
Lungo, largo, ambizioso e più audace nella sua costruzione narrativa, il terzo film chiude come si deve la trilogia più anticonvenzionale del cinema supereroistico...
Leggi la nostra prima recensione del 24-07-2012
Il Cavaliere Oscuro - il Ritorno è un film idealista e chi mal sopporta l’esposizione di un idealismo di ferro avrà dei problemi. La buona notizia però è che nonostante tanta aspirazione verso il buono, il film non è mai buonista e il raggiungimento della vera “azione giusta” è un’impresa costellata di fallimenti, anche da parte del protagonista.
Con la sua trilogia, chiara, netta, chiusa e ben definita nel suo svolgimento temporale, Nolan prende un uomo e gli pone un obiettivo dal quale non si farà distogliere nonostante amori, difficoltà e città da salvare. Quell’obiettivo è fornire un esempio, essere migliore perchè gli altri si sentano spinti ad essere migliori anch’essi e così si possa cambiare davvero qualcosa. Mai un eroe da fumetto aveva portato al cinema così tanto idealismo militante, mai era sembrato così lontano dall’essere solo un vigilante (pur avvicinandosi molto) e mai la sua missione era sembrata così necessitante di un termine.
Quando ci sembra che Nolan abbia fatto film così seri che la presenza di persone mascherate quasi stona è perchè questa saga di Batman è solo fintamente su un uomo che si maschera da pipistrello per elaborare il lutto dei propri genitori. In realtà si parla di cosa ci voglia perchè la gente superi quella paura che la rende meschina verso il prossimo.
Come annunciato più volte questo terzo film della trilogia di Batman tira i nodi dei precedenti due e lo fa con la consueta precisione geometrica di Christopher Nolan. Da Batman Begins arrivano personaggi, conseguenze e una valanga montata negli anni trascorsi dal viaggio formativo di Wayne. Dal secondo film invece giunge molto meno a livello di trama (per rispetto a Heath Ledger non si cita nulla che non riguardi Harvey Dent), eppure c’è molto a livello di senso. In Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno è ancora la lotta contro l’imposizione di un caos ad essere il tarlo di Batman, ed ancora la popolazione di Gotham è posta di fronte ad una scelta: essere parte del caos o ribellarsi ad esso.
Una bella novità invece è come le solite due ore e mezza siano gestite con un’audacia narrativa che viene dal successo di Inception. Sono molte di più le trame gestite in parallelo (sia nel presente che nei flashback) e la loro alternanza è molto più rapida. E’ un modo di procedere che consente a Nolan di raccontare molto e sempre in maniera soggettiva, seguendo i personaggi nelle loro diverse azioni quasi singolarmente e saltando di luogo in luogo (ad un certo punto anche in contemporanea, proprio come per i sogni di Inception).
Il risultato è un passo molto forte che, nonostante un’obiettiva lunghezza nel terzo atto, sfocia in un quarto atto che associa alla classica foga da gran finale anche un sentimentalismo per nulla scontato (specie per il cinema molto razionale di Nolan). Merito probabilmente di Anne Hathaway, più credibile della media degli attori nolaniani e capace di costruire una Catwoman (che nessuno chiama mai così... punti!) dotata di un’intima tristezza e disperata tenerezza che Christian Bale non è mai riuscito a raggiungere in tre film.
I più pignoli noteranno diversi buchi di sceneggiatura verso la fine del film. Oggetti che non è ben chiaro come siano stati conservati dal protagonista, viaggi compiuti in tempi eccessivamente brevi e convalescenze immediate. Queste iperboli sono tali e tante da non poter essere sviste.
A parere di chi scrive, la sublimazione di una figura che si è fatta simbolo, virtù e ideale passa attraverso una visione disincantata e “mitica” per la quale, conta poco il dettaglio di sceneggiatura che si incastri bene con le tempistiche della storia, poichè a quel punto esistono esigenze di simbolismo più grandi. E’ come chiedersi perchè la madre di Achille non abbia immerso anche il tallone nell’acqua che lo ha reso invincibile. Il punto è che è un mito in cui serve mostrare che anche i migliori hanno un punto debole. Il resto non conta.
In conclusione, spiace notare che anche questa volta, per un film così atteso e così importante quanto ad incassi, il doppiaggio italiano ha scelto di utilizzare in un ruolo centrale un non professionista. Filippo Timi, sebbene attore di straordinaria bravura, non aderisce in nessun momento a Bane. Complice una certa difficoltà nel doppiare un personaggio che non ha movimento labiale e la personalità straripante dell'attore, l'impressione è di ascoltare sempre la voce fuoricampo di Filippo Timi e mai quella di Bane.
Se si pensa che la medesima cosa, con esiti anche peggiori, era accaduta con il Joker del film precedente, questa appare come una scelta incomprensibile.