[Courmayeur 2012] Hitchcock, la recensione
L'atteso biopic sul regista di Psycho si rivela un film sulle difficoltà matrimoniali e su quanto del genio fosse dato dalla collaborazione con la moglie
Si fa prima a dire che quel che Hitchcock non è.
Hitchcock è un film sulla convivenza nel lungo termine con una personalità geniale e ingombrante, presa in un momento fondamentale, quando al massimo del successo rischiò tutto mettendo i propri soldi su un progetto indipendente che nessuno voleva finanziare (Psycho), rischiando la stabilità del proprio matrimonio e non potendo più nascondere l'attrazione per le altre donne.
Alla fine nonostante il lungometraggio sia indubbiamente carino e affascinante questo primo lavoro di finzione di Sacha Gervasi trova i suoi momenti migliori solo quando vuole raccontare la determinazione di una personalità creativa nel perseguire le proprie idee, i propri istinti e le proprie convinzioni per dimostrare a sé stesso e a tutti gli altri di non essere morto. E' invece più debole e zoppicante quando vuole mettere in scena le difficoltà di un matrimonio, la convivenza di due menti creative e il rapporto tra un uomo e la sua controparte nell'ombra.
Particolarmente fastidiosi sono i monologhi che il regista intrattiene con i parti della propria immaginazione (in particolare Ed Gein, il vero omicida cui Norman Bates si ispira) e le consuete scene madri in cui Helen Mirren e Anthony Hopkins smettono i panni dei propri personaggi per indossare quelli dei "grandi attori". Come sempre è più efficace una smorfia di dolore inquadrata per pochi secondi che cento urla con le lacrime agli occhi.