Gli stagisti, la recensione

Il più grosso product placement dell'anno corrisponde anche al film più insulso che sia possibile vedere in questi giorni al cinema...

Critico e giornalista cinematografico


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Da Shawn Levy, regista che già aveva ambientato un film dentro il Museo di Storia Naturale di New York e il suo seguito nello Smithsonian, assicurandosi che i due fossero sufficientemente riconoscibili e nominati nella storia, arriva anche un film tutto ambientato dentro la sede principale di Google.

La cosa più facile e scontata da dire su questo film è che è un unico lungo spot per la società americana, lo si capisce già dal trailer, ma la sorpresa è che lo è oltre ogni immaginazione e limite della decenza. C'è anche l'inevitabile cammeo finale di Sergey Brin che svela come il target sia quella ristretta tipologia di pubblico in grado di riconoscerlo.

In America gli show comici televisivi spesso utilizzano delle clip preregistrate realizzate dai loro comici, inserti di qualche minuto che aggregano diverse gag con un tema comune. Spesso queste gag riguardano notizie, altre volte argomenti di moda, tipo Google. Non è quasi mai nulla di sofisticato, solitamente il comico fa l'outsider, l'ignorante in mezzo a talent famosi, lo scemo comico in un contesto noto e molto serio.

Gli stagisti è tutto così.

Owen Wilson e Vince Vaughn in un brain storming per trovare il bug in un software cominciano a ragionare come se dovessero trovare una password in un film, quando si trovano a cercare di creare un'app nuova se ne escono con idee uguali ad app famosissime già esistenti, fanno improbabili partite di Quiddich adattato al mondo reale e approfittano senza ritegno di servizi noti come il fatto che la mensa e il bar dentro Google offrono cibo gratis ai dipendenti. Ogni gag serve a presentare qualcosa di vero, un vero servizio della compagnia, una vera caratteristica della sede centrale, un vero compito degli stagisti che vogliono essere assunti e non mira mai a distruggere ciò che rappresenta (come fa, per dire, il modello slapstick Marx o Clouseau) ma semmai a esaltarlo presentando dei protagonisti stupidi che non ne hanno capito nulla.

Dunque non c'è nulla (se non una brevissima discussione totalmente inutile) sul concetto di "stagista", le diverse condizioni lavorative di oggi e il senso di essere parte di un'azienda nuova, che offre servizi nuovi, cerca di essere sulla frontiera e prova a battere percorsi lavorativi diversi dal solito. Tutto questo che era legittimo aspettarsi (vista la trama) da un film solo leggermente più interessante è totalmente assente.

Purtroppo è totalmente assente anche un'idea di comicità realmente coinvolgente che non sia solo un collage di gag, che sappia cioè disegnare un percorso dentro la storia (per accumulo, per negazione, fatto di salti iperbolici o altro), manca cioè una vera idea che sottenda a tutto il film, un modo di intendere il mondo e al vita che faccia ridere e sia in grado di svelarne contraddizioni.

Gli stagisti non è insomma un film comico ma una serie di gag da sorriso.

Contando questo film è la terza volta che Max Minghella si fa fregare nel campo dei software dopo The social network e L'ora nera. Il più assurdo e contemporaneamente il più contemporaneo degli stereotipi in cui rimanere incastrati...

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