Ghost Rider: Spirito di vendetta, la recensione

Dinamico, furioso, rumoroso e caotico al punto giusto. Questa volta Ghost Rider ha il film che merita, purtroppo però solo per metà (e con un 3D inutile)...

Critico e giornalista cinematografico


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Ci voleva qualcosa di più radicale per Ghost Rider, decisamente di più del cinema incolore e insapore di Mark Steven Johnson, e una volta tanto lo abbiamo avuto. Il duo Neveldine&Taylor, espressione di un cinema che rimette al centro di tutto la corsa, il moto, la velocità e l'ironia verso se stessi, è riuscito a creare un film che mette in scena una versione accettabile dei fumetti dark Marvel. Peccato che Ghost Rider: Spirito della vendetta non sia tutto a livello delle sue premesse.

Il problema con il personaggio di Ghost Rider era trovare una messa in scena che rendesse giustizia e fosse l'equivalente audiovisivo di quello che accade nei fumetti e del tratto che li caratterizza. Non si poteva andare a parare nell'ecumenismo di Iron Man, Capitan America, Spider-man, X-Men e via dicendo, come i fumetti di Ghost Rider sono profondamente diversi dagli omologhi più venduti, così anche il film non poteva che essere fieramente più estremo e per pochi. E quando si tratta di essere estremi i registi di Crank sono una sicurezza.

Così Ghost Rider: Spirito di vendetta si apre all'insegna delle idee e delle invenzioni, con parabole inusuali e una visione dell'azione che nel ricalcare il fumettistico cerca le inquadrature meno probabili e più inattese (quella dello sparo in volo all'inizio non è un effetto speciale). Andando avanti però non riesce a mantenere il ritmo.

Lo svolgersi della trama non è raccontato nel dispiegarsi dell'azione, ci sono ampie pause esplicative, silenzi e momenti empatici che sembrano aggiungere poco e soprattutto si prendono le distanze dal piombo e dai giubbotti incandescenti, dal fascino del perduto e dal satanico che prende la mano all'umano. Così per buona mezz'ora Ghost Rider: spirito di vendetta non è un film "Ghost Rider", la noia arriva terribile e inesorabile e a poco serve un finale che di nuovo riprende le fila del discorso iniziale, cercando una risoluzione caotica e un accumulo di rumore metodicamente ordinato.

Dispiace soprattutto per Nicolas Cage, impegnato più che mai, fermamente appassionato del motociclista infernale e questa volta attore anche nelle scene in cui il suo Johnny Blaze è trasformato in Rider (come era stato possibile pensare di non procedere così nel film precedente? Cosa credevano? Che un attore è solo le facce che fa e non i movimenti che compie?).

In chiusura, la riconversione 3D: inutile quanto Violante Placido...

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