Pain & Gain - Muscoli e denaro, la recensione

E' il film più piccolo della carriera di Michael Bay ma è girato lo stesso come un kolossal. Commedia tratta da una storia vera, è un film sorprendente e complesso...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Devo confessare che ho un debole per Michael Bay. Non tanto per i suoi film ma per il suo cinema, cioè per l'idea che c'è dietro i suoi film e non per i film in sè (spesso buttati via senza etica o coerenza).

La volontà di esagerare, di pensare un mondo ripulito, quasi eugenetico, patinatissimo, colorato, perfetto, secondo i canoni classici di bellezza e perfezione hollywoodiana ma anche spinto seriamente oltre al confine che lo separa dalla parodia, trova in Michael Bay una costanza e una potenza che nessun altro ha. E' come se cercasse di fare Last action hero seriamente in ogni suo film e questo delirio di onnipotenza e di budget in più di un caso (ma sempre troppo pochi) sfocia in una meraviglia visiva e soprattutto dinamica non comuni (è il caso del primo Transformers).

Per questo la decisione di fare una commedia "piccola" e "a basso budget", tratta da una storia vera, in cui gli attori protagonisti rinunciano alla paga e scelgono di avere una quota degli incassi (come le produzioni indipendenti) ma comunque girata con 26 milioni di dollari (il budget più piccolo di sempre per Bay, dopo quello del suo esordio che comunque era in dollari di 20 anni fa), in formato wide, con colori supersaturi e la volontà di inchiodare quella sua stessa idea di mondo, quel sogno che non esiste ma che lo stesso i personaggi fanno ad occhi aperti, è subito affascinante. Se si aggiunge che probabilmente Pain & Gain è anche il suo film scritto meglio è chiaro che siamo dalle parti dell'evento unico.

I suoi protagonisti sono un prodotto americano al 100%, vivono e si riempiono la bocca del "sogno", desiderano lavorare per guadagnare, fanno i bodybuilder ma aspirano al possesso materiale oltre ogni cosa, anche quando sono dei born again, fomentati di Gesù. Cosa ancora più interessante vivono come i personaggi dei film, traggono la loro ispirazione e hanno un universo di valori prelevato da Hollywood (Il Padrino, Scarface e tutti i soliti riferimenti criminali), questo porta le loro vite (lo ripeto: è una storia vera) a seguire quel tipo di scansione. In Pain & Gain c'è quindi una sottile linea che tiene separate realtà dei fatti (molto piegati alla volontà del regista ma, come sempre, effettivamente seguiti nelle parti meno verosimili), la finzione e la metariflessione sulla narrazione contemporanea.
 

Come in Gomorra i piccoli criminali aspirano a vivere il sogno di Scarface e come già in Senso i protagonisti vivevano vite paragonabili a quelle delle opere che andavano a vedere a teatro, in Pain & Gain esiste un'identificazione tra la vita e la personalità dei protagonisti e quella dei personaggi di film come quelli girati da Bay stesso che è impressionante. Quello che probabilmente il regista ha visto in questo fatto di cronaca è esseri umani che volevano essere in un suo film. E non gli è piaciuto.

Si tratta infatti del primo caso nella carriera si Michael Bay in cui la sua forma folgorante e il titanico desiderio di comprendere TUTTO in ogni inquadratura, facendolo apparire splendido sono usati contro i propri personaggi. Il primo film in cui il regista non aderisce al loro punto di vista (stupenda l'idea di far raccontare pezzi di storia alle voci fuoricampo di ognuno, comprese le vittime), non parteggia per loro e anzi li guarda con atteggiamento critico, un sottoprodotto inevitabile dell'ideologia americana che propugnano.

Continua a leggere su BadTaste