Venezia 69: E' stato il figlio, la recensione
Il primo film italiano in concorso a Venezia è un commedia amarissima dal dilagante umorismo di regia che rielabora in forma commerciale la materia di Ciprì e Maresco...
E' stato il figlio parla di come una fortuna inaspettata, figlia di una tragedia, rovini una famiglia che vuole usarla per arrivare all'agognato benessere materiale. Storiaccia di periferia e mafia, di velleità e consumismo che si alimenta prima e termina poi nel sangue, una dramma nerissimo raccontato con un senso del grottesco degno della miglior commedia spensierata, una versione acquietata dell'umorismo esagerato, teatrale e a tratti surreale che Daniele Ciprì ha affinato negli anni di collaborazione con Maresco. Si potrebbe quasi dire che il primo film da regista di Ciprì è una versione for the masses delle più audaci opere precedenti. Non per questo però è meno efficace.
Con meno grandiosità che in passato ma con una precisione e inventiva che non hanno niente da invidiare a quanto già visto Daniele Ciprì fotografa da solo il suo primo film da regista, componendo le inquadrature come scatti di gruppo e di continuo badando al modo in cui i personaggi abitano i luoghi in cui sono inseriti.
E mentre Servillo servilleggia a briglia sciolta (una volta tanto non per eccesso di esuberanza ma in armonia con tutto un cast caricaturale in cui ha il compito di fare, magnificamente, la lepre), lentamente si fanno strada i caratteri secondari, personaggi più semplici e meno complessi del padre di famiglia (piccolissimo borghese, attaccato ai beni materiali e iracondo), ma decisivi per un finale in cui non c'è niente da ridere, che svela il villain sia della storia che, per estensione, di un tutto il sistema che domina il paesaggio raccontato.