[Cannes] Infancia Clandestina, la recensione
Presentato a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs, l'opera prima dell'argentino Benjamin Avila è un film maturo, toccante e divertente…
La cosa peggiore di Infancia Clandestina, opera prima del regista argentino Benjamin Avila, presentata al Festival di Cannes nella sezione parallela Quinzaine des Realisateurs, è probabilmente il titolo.
Per fortuna Infancia Clandestina non è né una cosa né l'altra, ma è un film maturo e intenso che esprime tutta la passione e il coinvolgimento del regista nei confronti della storia (vera, la sua) raccontata. Siamo in Argentina, nel 1979: una coppia di attivisti esiliati a Cuba decide di tornare in Argentina sotto falsa identità per contrastare da dentro lo stato di polizia che soffoca il paese, portando con sé i due figli. Juan, oggi dodicenne, è costretto a fingersi Ernesto e a vivere una doppia vita.
La prima cosa che sorprende di questo film è che, man mano che prosegue, ci accorgiamo che non è un film drammatico tout court. Sebbene non manchino momenti molto seri e toccanti, con naturalezza si passa -talvolta all'interno della stessa scena - a situazioni genuinamente divertenti e leggere, quasi da commedia. Merito di un ottimo lavoro in fase di sceneggiatura sui dialoghi, ma anche e soprattutto degli attori, tutti bravissimi a cominciare dai bambini. Una menzione particolare la merita però Ernesto Alterio, che infonde una grande umanità al ruolo in apparenza più comico di tutto il cast.
Infancia Clandestina è stato per me la sorpresa di questo Festival di Cannes e, due anni dopo Il segreto nei suoi occhi, una nuova conferma del valore del cinema argentino oggi.
Il film è stato seguito in sala da dieci minuti di standing ovation. Se bastasse questo a garantirgli una distribuzione in Italia...