[Cannes 66] Only lovers left alive, la recensione
Anche Jarmusch si butta sui vampiri ma lo fa come modo per parlare di sè, del suo mondo, dei suoi fan e rassicurare con autoindulgenza riguardo la propria scelta di vita...
Con il suo stile ridotto all'essenziale e il suo umorismo di nicchia Jarmusch si diverte a cavalcare la moda dei vampiri, ritratti anche in questo caso non in modo classico (la parte più d'altri tempi sono i titoli di testa) ma moderno. Vampiri che non succhiano più il sangue alla gente "Siamo nel XXI secolo!" e che sono caratterizzati dai sentimenti migliori, raffinati ma non borghesi, amanti sostanzialmente delle buone cose (buona musica, buona letteratura e buon sangue).
Quando arriva una giovane vampira, un po' coatta e legata a un mondo di rapido consumo e poco approfondimento, si guadagna in breve tutto il loro diprezzo (ma in realtà fa quel che fanno i vampiri da sempre, succhia sangue agli uomini), e Jarmusch non senza piacere sottolinea tale sentimento con enfasi sulla provenienza di lei: Los Angeles "la capitale degli zombie!".
Only lovers left alive celebra la superiorità di chi approfondisce, di chi si interessa, si appassiona, non fa la guerra ma fa l'amore e cerca di vivere una vita piena, a differenza degli zombie. Con questo assunto è impossibile non concordare ma è decisamente meno coerente e fare tutto ciò accarezzando il capo del proprio pubblico (cioè il pubblico di Jim Jarmusch, una nicchia ben precisa), confermandogli che i vampiri della questione, gli unici veri amanti rimasti in vita, sono loro e non certo quelli di Los Angeles, in un film autoindulgente se non proprio autoesaltante, che in ogni momento afferma: "Nessuna paura: siamo meglio noi di loro".
Autoindulgenza che tocca la vetta massima nel finale quando, dopo aver ascoltato una cantante libanese, la coppia protagonista afferma che meriterebbe il successo ma tanto non lo avrà, lasciando intendere che chi è veramente bravo non riceve il riconoscimento che gli spetterebbe.