[Cannes 66] Heli, la recensione
Il primo film del concorso è del messicano Escalante, storia di violenza e vendetta con pochissima verve o anche solo idee...
Ragazzi messicani che vivono sperando in un domani migliore. Ma questo non arriverà mai ed Heli sta qui a ricordarcelo.
Tutto è diviso in 3 parti. La prima in cui vengono introdotti i personaggi e le loro relazioni, ragazzi dalla vita desertica, presi in legami semplicissimi e non esenti da una certa tenerezza di fondo.
Tutto aviene nella realtà più desolante che si possa immaginare.
Il motivo per il quale però Heli è un grosso pallone al cui interno non c’è nulla, gonfio di pretese e silenzi, di paesaggi e volti, è che a tutto questo non è mai collegato uno sguardo cinematografico degno di questo nome. Vediamo accadere molte cose ma senza che Escalante sappia guardarle con la pietà oppure l’odio, con l’indifferenza oppure il coinvolgimento che servirebbero a fare il passo da un tema banalmente da festival, ad un film che abbia qualcosa da dire.
Con la sua sospensione di giudizio, l’alibi di voler solo mostrare personaggi e lasciare che interagiscano, Escalante dimentica anche di porre uno sguardo su tutto questo, che non significa giudicare ma saper mostrare eventi, cose, persone e luoghi in una maniera che dia un significato al tutto o che sia anche solo in grado di stimolare un pensiero nello spettatore, in virtù di immagini o momenti a cui non si può rimanere indifferenti.