[Cannes 2014] The tale of Princess Kaguya, la recensione
Dallo studio Ghibli arriva un cartone dal tratto peculiare che racconta una storia lontana dalla nostra sensibilità ma con una leggerezza stilistica inebriante...
Il nuovo film dello studio Ghibli viene da Isaho Takahata e percorre con rinnovato interesse la strada già battuta in My neighbors the Yamadas, cioè quella di un disegno stilizzato lontano dal character design che è il marchio di fabbrica dello studio e più vicino al disegno su carta, al bozzetto.
La storia della principessa Kaguya stenta a coinvolgere nella totalità della parabola ma nei singoli momenti, nelle singole animazioni rivela una forza che spesso manca ai comunque straordinari film dello Studio Ghibli. Se dalla casa di Miyazaki e Takahata abbiamo visto arrivare negli anni storie incredibili che hanno la loro forza nella maniera in cui la trama incede impetuosa di scena in scena, arricchendosi di trovate visive fenomenali, ora arriva un film che sembra esistere solo per i singoli momenti.
Più scrittore che sceneggiatore (al contrario di Miyazaki che invece parte sempre da un'immagine) questa volta Takahata realizza un film che le affermazioni più potenti le fa sul piacere di animare, di far muovere personaggi inesistenti in maniere impossibili come se il grande segreto del cinema animato fosse la capacità di rendere il pesante leggero, di trasformare la materia umana in foglie d'erba al vento.