[Cannes 2014] Deux Jours, une nuit, la recensione

I fratelli Dardenne non deludono, con una continuità mostruosa anche il loro settimo film è bellissimo, apparentemente simile agli altri in realtà sempre in evoluzione...

Critico e giornalista cinematografico


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E' un film di lotta l'ultimo dei Dardenne, un'unica grande battaglia di due giorni e una notte per riavere il proprio posto di lavoro. Una specie di guerra gentile ed educata, condotta con una difficoltà mostruosa, tutta camminate e disillusione.

Sandra è stata male, per questo motivo ha perso il lavoro. Il suo superiore ha indetto una votazione tra i suoi colleghi: o teniamo lei o prendete un aumento di 1.000€ l'anno. 14 su 16 scelgono i soldi, ma siccome a molti era stato detto, come minaccia, che se non se ne andava Sandra sarebbe toccato a qualcun altro, la votazione va rifatta a scrutinio segreto. Sandra ha due giorni (il weekend) per contattare tutti, avvertirli che si rivoterà e convincerli a tenerla. A questa idea abbastanza comune si affianca lo spunto geniale: Sandra non vuole fare tutto questo, spinta dall'ex marito, dalle amiche e riluttante a implorare per qualcosa che le serve come il pane è in costante indecisione su cosa fare. La lotta da parte di una che non vuole combattere.

Quello che per molti sarebbe solo un semplice giro tra i conoscenti per spiegare l'accaduto e perorare la propria causa è per Sandra uno sforzo incredibile. Flagellata dalla depressione, malata di ansiolitici e colma fino ai capelli di disfattismo sembra quasi dare ragione a chi le dice che voterà per avere i soldi.  L'atteggiamento più fastidioso possibile (per il pubblico) è la parte più interessante di questo film dalla struttura avvincente (di volta in volta si tiene il conto di quanti si stanno convertendo e quanti no, quanti voti ha e quanti mancano) che impone di comprendere le difficoltà meno facili da fare proprie. Mentre tutti vorrebbero vedere Sandra battersi come un leone lei sembra rinunciare alla minima difficoltà ed è portata avanti solo dalla costanza e l'insistenza di chi le è accanto.

In una trama simile era facile fare di lei un'eroina, ed è straordinario invece come la rendono una persona.

Come al solito l'apparenza è che dietro al film ci sia il minimo del lavoro registico, quando in realtà è vero il contrario. L'apparente naturalezza con cui seguiamo Sandra è frutto di una maniacale lavoro sul suo personaggio sia da parte di Marion Cotillard (l'avanti e indietro tra minuscole sfumature di fiducia e sfiducia, ottimismo e pessimismo è da gioielliere) che dei Dardenne stessi, interessati unicamente alla propria protagonista che pensano tutte le scene in base a lei, usando moltissimo il fuori campo per non mollarla mai e alla fine, nella grande risoluzione finale, poter così raccogliere quanto hanno seminato.

Perchè è evidente che il film gioca tutte le sue carte con gli ultimi minuti (è mai stato diversamente in un film dei due fratelli?), come finirà la votazione e quali saranno le conseguenze. La soluzione è perfetta, ricorda a tutti quale sia il vero punto della questione, conclude il lavoro sul personaggio e dà alla storia la forza morale che serve.

Civile come Ken Loach ma umano e coinvolgente in una maniera che il cineasta inglese ha dimenticato da anni, quello dei Dardenne è un cinema da una palma d'oro ad ogni film.

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