[Berlino 2014] Yves Saint Laurent, la recensione
La vita e il carattere dello stilista, raccontata con moltissima banalità e abuso dei luoghi comuni sull'arte e il genio. Del perchè quest'uomo meritasse un biopic non v'è traccia...
Il rigore degli anni ‘50, gli eccessi dei ‘60 e la crisi dei ‘70, non ci sono mezze misure ma solo luoghi comuni in questo film biografico su Yves Saint Laurent, che sembra tenere a tutto tranne che al suo protagonista, che lo segue per 3 decenni e poi salta dritto alla morte senza saper fare di questa scelta una parabola o una costruzione intellettuale.
Già pupillo di Dior in giovane età, noto per la sua timidezza e gli atteggiamenti schivi, Yves Sain Laurent fatica a ritagliarsi un ruolo nel mondo della moda nonostante il suo genio riconosciuto. Sarà il tradimento della casa Dior (alla morte del fondatore) e l’incontro con Pierre Bergé, professionalmente proficuo ma sentimentalmente difficile, a cambiare la sua vita, portandolo ad aprire un proprio atellier e ad uscire fuori dalle costrizioni che una rigida educazione cattolica avevano imposto.
Quest’atteggiamento molto povero di scrittura fa il paio con la scelta di piegare tutto il film sugli attori, dimenticando totalmente che anche gli altri comparti dovrebbero concorrere alla riuscita finale. Potendo contare su Guillaume Galliene e Pierre Niney (già apprezzati in Tutto su sua madre e 20 anni di meno), entrambi provenienti dalla comedie-française, Lespert (anch’egli attore al suo primo film da regista) lavora unicamente con loro e su di loro, cerca l’interpretazione magistrale in ogni scena, spesso trovando, specie in Galliene, una spalla perfetta, misurata e comunicativa. Ma è decisamente inutile perchè tutto quel che i personaggi si dicono e fanno sembra avere l’obiettivo di mettere in mostra la recitazione più della storia, gli attori e non ciò che interpretano.