[Berlino 2014] In grazia di Dio, la recensione
Edoardo Winspeare giunge ad una sintesi nuova del suo cinema, abbandona ogni intento di raccontare una storia canonica per puntare a un'idea più complessa...
Non aveva mai diretto un film così imperfetto Edoardo Winspeare, non aveva mai girato con attori così poco esperti (nel caso specifico non sono professionisti) nè era mai ricorso ad un tale numero di semplicismi per narrare quello che è il suo contesto di riferimento (Puglia, retaggio religioso, riappropriamento di una forma moderna di tradizionalismo naturale), eppure non aveva mai fatto un film così bello.
A dire il vero le difficoltà economiche paiono più che altro un buon modo per fornire forti motivazioni e agitare le acque della trama (anche se il continuo ricorso a notiziari dal volume altissimo sullo sfondo fa pensare che le intenzioni siano diverse), perchè quel che importa di In grazia di Dio è appunto il movimento e non il punto d'arrivo.
Ambire a ritrarre l'umanità per quel che è, attraverso un scampolo dell'essere vivi in questi anni. Riuscire a farlo giungendo ad un livello superiore della narrazione che lascia sul fondo i citati difetti e le molte facilonerie, per puntare ad una partecipazione e ad un'onestà sentimentale come il nostro cinema (molto più attaccato a trame convenzionali) persegue raramente.
Quel risultato incredibile di essere inspiegabile a parole ma perfettamente chiaro nel suo insieme (cioè nell'unione operata dal montaggio di video e audio) In grazia di Dio lo raggiunge usando un complesso di suggestioni e movimenti espliciti, fino anche ad un buon titolo ripreso nel finale. Non è poco per nulla.