Berlino 2013, Slow Food Story: la recensione
Il documentario che racconta la storia di Slow Food è in realtà un'agiografia di Carlin Petrini che gli dipinge addosso l'iconografia del leader politico...
C'è in Slow Food Story una qualità eminentemente personalistica che rivela attraverso le immagini le contraddizioni e i mutamenti dello scenario politico attuale.
Il documentario stesso non fa mistero di voler lasciar intravedere in trasparenza un'idea politica forte, lasciandola magari in sottofondo o ribadendone di tanto in tanto la presenza sotterranea, il suo fare da fondamenta a tutto un impero della restaurazione, della conservazione e della riscoperta di quello che c'è di più sacro: origini e tradizione. E non solo in Italia ma anche nel mondo. L'internazionale comunista che guida una forza non politica verso obiettivi politici.
La carrellata degli ideali più fulgidi, le conquiste più mirabili e l'affetto degli amici, dei cari e del pubblico risulta in questo modo ammaliante e condivisibile, fondata su principi impossibili da rifiutare (a favore dell'individualità, del buono, del sano e dell'autentico), tali da non poter essere in diasccordo con il carisma di Carlin Petrini. Nessuno potrebbe mai aver nulla da ridire sull'operato dell'associazione, meritevole, guidato da scopi nobili ed economicamente stupefacente. Eppure proprio vedendo questo documentario risulta evidente quanto i principi della comunicazione di Slow Food e del suo culto del capo carismatico, utilizzino la gastronomia per fare politica assecondando una filosofia nuova e diversa. Un assunto che essi stessi non rifiuterebbero (si intuisce) e che mette insieme quella che una volta chiamavamo sinistra con quella che una volta chiamavamo destra, sotto la bandiera del conservatorismo.
Propagandando tradizione e conservazione, e quindi opponendosi al nuovo (nelle sue forme culinarie e ideologiche), operano una scelta che diventa filosofia di vita e per l'appunto politica, una scelta che affonda i piedi nella terra, nei contadini, nel comunismo agricolo più tipico ma alza le mani incontrando quelle della destra (il culto nazionalista, il rifiuto dell'integrazione, la difesa del proprio orticello...) e fa appello ai sentimenti più conservatori, cioè contrari a quelli che una volta erano gli ideali progressisti.
Slow food story somiglia dunque alla politica più recente, lontana da ideali assoluti e ben dichiarati ma vicina ad una convergenza tra quelle che chiamavamo forze opposte, cioè lontana dalle differenze destra-sinistra e vicina ad un'altra contrapposizione, più adatta a descrivere il mondo odierno: quella tra tradizione e innovazione, tra mutamento e conservazione, tra mescolanza e separazione.