Gli Artigiani del Fumetto: Don Heck, il "peggior disegnatore di fumetti"

Se oggi potete ammirare gli eroi Marvel sul grande schermo lo dovete anche a lui: Don Heck

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Il mondo del Fumetto è composto da varie personalità. Ci sono le superstar, quelle il cui nome è sulla bocca di tutti e vengono ricordate anche quando si ritirano dal settore o non vi collaborano più di tanto. Ed è una categoria importante, come è giusto che sia.

Però c’è anche un’altra categoria, a nostro avviso altrettanto rilevante. A volte vengono definiti “mestieranti”. Sono coloro che, per i più svariati motivi, non sono né pretendono di essere delle superstar, eppure il loro contributo alla Nona Arte è fondamentale, perché riescono a far sì che gli albi escano in tempo, oppure sopperiscono a una deadline che altri non riescono a rispettare e, più in generale, pur non essendo le loro sceneggiature o i loro disegni memorabili, alimentano le nostre fantasie e la nostra capacità di sognare. Forse abbiamo esagerato? Scopriamolo insieme.

Il primo artigiano del fumetto su cui concentriamo la nostra attenzione è Don Heck, un nome che dirà poco a molti di voi, ma se oggi potete ammirare gli eroi Marvel sul grande schermo lo dovete anche a lui.

Don Heck

Don Heck nasce il 2 gennaio 1929 a New York, nei sobborghi del Queens. Si appassiona all’arte grafica già in giovane età: andando spesso a trovare suo nonno, prende in prestito da lui alcuni quotidiani dove compaiono delle strisce a fumetti, appassionandosi in modo particolare alle opere di Milton Caniff. Inizia dunque a seguire dei corsi per corrispondenza, oltre a frequentare le lezioni d’arte durante gli anni del college.

Una volta diplomatosi, nel 1949, Heck ottiene il suo primo impiego presso la Harvey Comics: un suo amico, infatti, decide che quel lavoro non fa per lui e propone il suo nome. Per circa due anni e mezzo, Heck si occupa di rimontare in formato comic-book strisce apparse in origine sui quotidiani, tra le quali spicca proprio Terry and the Pirates. Qui conosce Allen Hardy, il quale un paio di anni dopo lo convince a entrare a far parte di una società da lui fondata, Comic Media: Heck diviene parte dello staff a partire dal 21 marzo 1952.

Grazie alla Comic Media, Don Heck vede pubblicate sia le sue prime copertine che le sue prime storie. La prima storia in assoluto ad aver visto la pubblicazione (pur non essendo stata con ogni probabilità la prima di cui si è occupato), è un racconto di guerra di otto pagine intitolato The Unconquered, apparso nel numero #1 di War Fury, pubblicato nel settembre 1952.

Per i successivi due anni, Heck continua a lavorare per la casa editrice, non disdegnando tuttavia di accettare lavori da freelance per altri editori. Nel 1954, però, Comic Media chiude i battenti, oltre che per le scarse vendite, per l’inizio della crociata anti-fumettistica di Fredric Wertham. Le storie truculente - per gli standard dell’epoca, ovviamente - della Comic Media mal si conciliano con questa visione casta e pura del Fumetto.

Tuttavia, alla Comic Media, Heck è divenuto buon amico del disegnatore Pete Morisi, che nell’estate 1954 si reca presso gli uffici della Atlas Comics, la futura Marvel, dove ha un incontro con Stan Lee. Morisi, oltre a portare il suo portfolio, ha con sé anche una storia di Don Heck, ed è su questa che si concentrano tutte le attenzioni di Lee fino a quando (non si sa esattamente con quanta gioia) Morisi gli dice che contatterà l’artista per un incontro.

Heck si presenta negli uffici Atlas un mercoledì pomeriggio, l’unico giorno in cui Lee non accetta di tenere colloqui di lavoro. Tuttavia fa un’eccezione alla regola e, dopo aver visionato due pagine di una storia di Heck, gli dice che ha una sceneggiatura pronta per lui: è il primo settembre 1954. Il suo primo lavoro pubblicato per la Atlas, seppur non il primo che ha disegnato, è una storia horror di cinque pagine intitolata Werewolf Beware, pubblicata nel gennaio 1955 su Mystery Tales #25. Per circa tre anni, Heck disegna decine di storie per la Atlas (soprattutto dei generi western, fantascienza e romance).

Tales of Suspense #39, copertina di Jack Kirby e Don HeckNell’aprile 1957, tuttavia, a causa di una grave crisi societaria e di tagli al personale, a Heck non vengono più affidate nuove storie. Per sbarcare il lunario, grazie a un amico, Heck ottiene un nuovo impiego disegnando modellini di aeroplani per la Berkeley Models. Nel 1958 tuttavia, grazie all’apporto di Jack Kirby, la Atlas si salva dal fallimento e Lee richiama a sé Don Heck. Lo staff di disegnatori è alquanto ridotto - oltre a Kirby e Heck, ci sono Steve Ditko e Dick Ayers - e quindi Heck si ritrova a disegnare numerose storie, nonché svariate copertine al posto dell'indaffarato Kirby.

Si giunge così al novembre 1961, e alla pubblicazione di Fantastic Four #1, che dà vita all’era Marvel dei Comics. I supereroi, caduti in disgrazia nella metà degli anni ’50, tornano presto in auge e così la Casa delle Idee riadatta le serie antologiche contenenti storie horror o fantasy per trasformarle in testate supereroistiche. Una di queste è Tales of Suspense.

Nel numero #39 - data di pubblicazione marzo 1963 - esordisce un nuovo personaggio: Iron Man. Stan Lee ne stende il soggetto, che viene esteso a sceneggiatura da suo fratello Larry Lieber. Kirby, autore di quasi tutte le copertine di quel periodo, crea il design della prima armatura (quella ingombrante, prima color argento, poi dorata), ma il suo contributo termina qui. L’intera storia, sia matite che chine, viene infatti realizzata da Don Heck, che idea anche il look di Tony Stark basandosi su Howard Hughes (probabilmente dietro richiesta di Stan Lee).

Negli anni successivi, tuttavia, Kirby affermerà sia di aver contribuito alla sceneggiatura che di aver realizzato gli schizzi della storia. Solo il tempo dimostrerà la non correttezza di queste affermazioni (alimentate da un risentimento verso la Marvel), ridando a Heck il giusto contributo.

Oltre a Tony Stark, durante il suo ciclo su Tales of Suspense Heck crea anche Pepper Potts e Happy Hogan, nonché il più celebre nemico di Iron Man, il Mandarino. Nel numero #52 di questa testata esordisce la Vedova Nera (seppur nel suo primo look con calze a rete, oggi dimenticato), ma è con il 57° albo che Heck entra (senza saperlo) nella storia disegnando la prima apparizione di Occhio di Falco, creando questo personaggio interamente da solo.

Tales of Suspense #57, copertina di Don HeckEssendo un disegnatore rapido e affidabile, a Heck vengono affidati altri incarichi come il serial di Ant-Man e Wasp pubblicato su Tales to Astonish, nonché l’incombenza di succedere a Jack Kirby come disegnatore regolare di Avengers a partire dal numero #9, per un ciclo di circa trenta storie durante il quale vengono creati personaggi come Wonder Man, lo Spadaccino, il Conte Nefaria e il Collezionista.

Passa poi a disegnare alcune storie degli X-Men, creando Polaris e Havok, nonché alcuni albi di Captain Marvel precedenti l’arrivo di Jim Starlin. Quando può, Heck preferisce occuparsi in toto delle chine, poiché spesso gli affidano inchiostratori non all’altezza o alle prime armi (in un'occasione, insoddisfatto del risultato, strappa le pagine ricevute).

Questo malcontento, unito ad un calo di incarichi dovuto anche all’emergere di altri artisti acclamati come John Buscema o Gene Colan, porta Don Heck a contattare la DC Comics, che gli affida alcune storie a partire dal 1970. Essendo un freelancer, Heck alterna lavori per entrambe le case editrici, disegnando per la Distinta Concorrenza un celebre ciclo di Wonder Woman e creando per la Marvel la prima incarnazione dei Campioni. Con il tempo, tuttavia, l’insoddisfazione nei confronti della Casa delle Idee cresce, e nel 1977 Heck accetta un contratto in esclusiva da parte della DC che gli garantisce più stabilità.

Nell’inverno del 1980 viene pubblicato il numero #53 di The Comics Journal, dove compare una lunga intervista (curata da Gary Groth) dello scrittore Harlan Ellison. Ellison, senza peli sulla lingua (e abilmente pungolato da Groth), definisce Heck “il peggior disegnatore di fumetti”, capace di consegnare un prodotto insoddisfacente solo per rispettare le scadenze. Più avanti Ellison si scuserà per quanto detto, ma il danno è fatto: a partire da quel momento, Don Heck viene soprannominato “Don Hack” e l’idea che lui sia “il peggior disegnatore di fumetti” sarà una costante fino alla fine della sua carriera.

Questo, comunque, non gli impedisce di realizzare un ciclo di Flash precedente la storyline del Processo, un crossover tra Justice League of America e All-Star Squadron (il lavoro più folle che abbia mai realizzato, per usare le sue stesse parole) o di disegnare la serie di Wonder Woman per circa tre anni, fino al 1986, anno in cui la testata viene chiusa a causa di Crisi sulle Terre Infinite.

Wonder Woman #204, copertina di Don HeckCon il rilancio dell'Universo DC, e nuova linfa sulle testate, Heck non riceve in breve tempo più alcun incarico dalla casa editrice e torna dunque verso la fine degli anni ‘80 a lavorare per la Marvel, ritrovando il più celebre personaggio da lui ideato, Occhio di Falco, di cui realizza (come disegnatore e inchiostratore) alcune storie che compaiono su Solo Avengers/Avengers Spotlight. Negli anni successivi, oltre ad altri incarichi da freelance per piccoli editori, Heck rimane presso la casa editrice che aveva sancito il suo successo durante la Silver Age, nonostante la pesante ombra di giganti come Jack Kirby o Steve Ditko.

L’ultima storia da lui realizzata, sia come disegnatore che come inchiostratore e che vede protagonista Thor, compare nell’ottobre 1993 su Marvel Super-Heroes #15. Poco dopo, all’artista viene diagnosticato un cancro ai polmoni che risulta purtroppo inoperabile. Muore il 23 febbraio 1995, un anno dopo Kirby, presso una clinica di Long Island.

La sua scomparsa passa in gran parte inosservata, ma con il tempo Don Heck riceve i giusti meriti per la sua opera. I credits come creatore di Occhio di Falco, Iron Man e della Vedova Nera sono comparsi e compaiono nei titoli di coda dei film Marvel Studios.

Don Heck non è stato di certo il miglior disegnatore della Marvel degli anni ’60… ma di certo neanche il peggiore!

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