La terra dei figli, la recensione
Abbiamo recensito per voi La terra dei figli, nuova opera di Gipi pubblicata da Coconino Press
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
La storia è ambientata in un futuro ucronico in cui un evento catastrofico ha completamente cancellato dal mondo i segni della civiltà così come la conosciamo, lasciando che la razza umana regredisse a uno stato primitivo. Le giornate di due ragazzi trascorrono stanche e sempre uguali: alla ricerca di cibo e restando alla larga dai pericoli, esplorando - sotto la rigida egida del padre - i resti di un mondo che è solo il pallido ricordo del nostro. La carcassa di un cane, il cadavere di un uomo, un cimelio del passato: tutte cose per barattare qualche altro giorno di sopravvivenza. I nostri giovani protagonisti non sono gli unici sopravvissuti, ma si tengono alla larga da figure controverse come la Strega o Aringo, cercando di seguire le regole imposte dal padre.
La scena viene catturata subito dai due giovani, dal loro padre e dal tentativo di quest'ultimo di crescere le sue creature con un piglio deciso, al fine di renderli forti e in grado di superare le difficoltà che gli si parano davanti quotidianamente. La fermezza diventa necessaria, viste le condizioni in cui versano i personaggi, e un drammatico accento viene posto sull'eroico sacrificio del genitore che immola sull'altare della vita il calore di un abbraccio, la sicurezza di una carezza, l'intimità di un bacio.
Come le prime comunità in Mesopotamia e in Egitto, il segno acquisisce un significato e diventa parola, che a sua volta si trasforma in conoscenza: la conoscenza è potere, e il potere genera proseliti, seguaci disposti a credere, eseguire gli ordini senza discutere. I Fedeli sono un gruppo di persone riunite attorno alla figura dell'Uberprete; di quelle primordiali comunità riprendono la stessa fascinazione per l'occulto e la cancellazione di ogni voce fuori dal coro. Tutto in nome di qualcosa che non si mostra, che si cela dietro al mistero.
Facile vedere nei Fedeli l'esasperazione delle schiere di adoratori che il web ha creato e che, in numero sempre maggiore, si affrettano a rivendicare la propria supremazia sulle altre "sette". Altrettanto facile ritrovare in queste pagine un sottile attacco alle religioni, in nome delle quali vengono combattute guerre scoppiate proprio a causa della fascinazione dell'ignoto e della credulità di quegli individui incapaci di accedere alla conoscenza, alla parola, al significato.
La terra dei figli si presenta come un racconto lineare nel suo sviluppo, ma incredibilmente profondo grazie ai diversi piani di lettura che offre. La delicatezza della prosa di Gipi lascia qui il posto alla cruda realtà, mentre permangono alcuni temi cari all'autore pisano, come la provincia e l'eredità che i padri lasciano ai propri figli, declinati con il solito talento che lo contraddistinguono.
La semplicità dell'intreccio si traduce nella scelta di adottare una griglia rigida che si sviluppa su tre fasce orizzontali. Non ci sono immagini a tutta pagina, né colorazioni acquerellate: la drammaticità di questa vicenda viene affidata al bianco e nero, una soluzione coraggiosa che lascia - anche in questo caso - che sia il lettore a cogliere le diverse sfumature del racconto.
Non possiamo non salutare positivamente questa ennesima gemma realizzata da Gipi, autore che, nonostante i consensi unanimi ricevuti - per nostra fortuna - decide ancora di mettersi in discussione e che, dopo aver sottratto alla sua prosa alcuni elementi a lui congeniali, si lancia in un sentiero minato come quello della narrativa post-apocalittica, che grande successo sta riscuotendo in questi anni.
Il risultato è un'opera incisiva, struggente e brutale che sa conquistare per la sensibilità e la delicatezza con cui parla di noi, attraverso i più gesti più semplici, nel contesto di un mondo che cade a pezzi. È così che alla fine a restare in piedi è ancora l'uomo, la sua storia, il suo cammino su questa Terra.