#LuccaBAD 2016, Panini - Vecchio Logan: Intervista ad Andrea Sorrentino
A Lucca abbiamo intervistato Andrea Sorrentino, che ci ha parlato di passato e futuro della sua carriera, di Logan tra cinema e fumetto
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Iniziamo con una domanda leggera. Hai visto il trailer di Logan, il nuovo film su Wolverine? Sensazioni?
Guarda, sono rimasto abbastanza colpito, anche perché da tempo si diceva che poteva trattarsi di qualcosa che concernesse Vecchio Logan, ma le voci erano contraddittorie. Poi sono circolate le prime immagini e tutti si sono fatti un'idea più precisa. Mi ha fatto sinceramente molto piacere. Persino il font usato per il titolo richiama molto quello della serie che sta uscendo adesso. Speriamo bene, perché i primi due film sul personaggio non mi hanno entusiasmato, mentre le atmosfere sembrano buone e il trailer è stupendo.Speriamo anche per Hugh Jackman, perché almeno un film bello prima di lasciare il personaggio se lo meriterebbe,
Sarebbe un peccato se anche questo fosse una delusione, visto che l'attore è diventato proprio l'emblema del Wolverine cinematografico. Magari un film un po' meno fantastico e un po' più grounded, come si dice in inglese, può aiutare a vedere una storia funzionante.Anche perché, ormai, dopo tutto questo tempo, direi che sei legato anche sentimentalmente al personaggio, no?
Eh, ormai sono due anni che ci lavoro sopra, considerando anche la miniserie connessa a Secret Wars, quindi direi di sì. Utilizzo quasi una specie di metodo Stanislavskij quando disegno una serie, devo entrare nella mente del personaggio. Poi le storie mie e di Lemire sono molto intense e sentite emotivamente, quindi è una bellissima esperienza sotto molti punti di vista.
In più ci tengo, perché in America stiamo assistendo a un rilancio importante degli X-Men e di tutti i mutanti e, a me e a Jeff, è stata data carta bianca su Vecchio Logan, quindi, se vorremo continuare la serie anche oltre i numeri previsti, la Marvel sarà d'accordo.
Mi hai citato il tuo sceneggiatore Jeff Lemire. Opinione personale: trovo che sia efficace sui personaggi Marvel, ma che la sua vera dimensione sia da autore indipendente e di storie originali. Ora, non so come la vedi tu...
Guarda, succede a parecchi autori. Se pensi a Hickman o a Remender, è un discorso che ci sta anche nel loro caso. Magari lo vedi meno, perché, soprattutto il primo, ha avuto molto spazio di manovra, ha imposto un progetto a lungo termine, quindi ha potuto lavorare quasi come fa quando non deve rendere conto a nessuno. Invece Jeff, in particolare sugli X-Men, ha avuto le mani più legate. C'era Secret Wars, c'era l'idea delle Nebbie Terrigene, c'era un progetto che lo precedeva e che imponeva delle scelte e degli elementi da cui partire.
Anche il nostro primo arco narrativo di Old Man Logan è diverso rispetto a quel che doveva essere. Avevo letto il soggetto quando mi ha contattato per la serie ed era molto più simile al secondo atto della storia, quello che sta uscendo adesso. Invece gli fu imposto un ciclo introduttivo, con molte ospitate, più pilotato. Quando questo succede, per il novanta percento degli autori, rappresenta spesso un problema.
Ormai, comunque, avete un buon rapporto, tu e Lemire. Quindi - ed è qui che volevo arrivare - una bella serie creator-owned con Jeff ai testi e Andrea Sorrentino alle matite?
Guarda, io ho un contratto in esclusiva con la Marvel sino a settembre del 2017, per cui mi hanno anche promesso un'estensione ulteriore. Però sto valutando se accettare o no, proprio perché c'è l'idea, mia e di Jeff, di fare qualcosa insieme alla Image. Si tratta di un discorso molto prematuro, perché c'è tempo, però è in cantiere. Anche perché io credo di essermi fatto le ossa a sufficienza da avere il terreno solido sotto i piedi per tentare questa cosa e ho proprio voglia di confrontarmici.
Benissimo. Anche perché siete proprio una bella coppia professionalmente.
Sì, siamo diventati proprio amici anche dal punto di vista personale, non solo per quanto riguarda il rispetto reciproco della professionalità. Stiamo proprio bene assieme. Lui mi dà grande fiducia e tutti e due abbiamo grande amore per quello che facciamo.
Spesso mi prendo grande libertà sulla sceneggiatura, cambio le location. Ultimamente, addirittura, lui non fa altro che spiegarmi a grandi linee quel che deve accadere e lascia a me l'onore e l'onere della messinscena. Mi sento libero di cambiare quello che voglio o proporgli delle soluzioni a cui lui non aveva pensato. Questa cosa succede, ormai, dai tempi di Green Arrow ed è una grande gioia, quando si instaura un rapporto del genere con un collega sceneggiatore.
Su una serie Image, avremmo ancora più possibilità di sfruttare questa organicità di lavoro, questa fiducia creativa reciproca, ma non voglio dire nulla in merito, perché siamo veramente a uno stato embrionale e chissà che direzioni prenderemo. Probabilmente, se mi farai la stessa domanda a Lucca, l'anno prossimo, saprò risponderti meglio.
Dopo aver parlato del tuo futuro, guardiamo un po' al tuo passato. Hai sentito della rinascita della WildStorm? Se non sbaglio tu hai iniziato proprio con quei personaggi la tua carriera al di là dell'Oceano, giusto?
Non solo, ma io ho iniziato a leggere fumetti americani proprio con la WildStorm, perché sono cresciuto nell'era dell'esplosione dei manga e leggevo soprattutto quelli e penso che abbiano anche influenzato nel mio storytelling.
Solo nel 2005 sono approdato ai comics, già da adulto, e ci sono arrivato proprio con Planetary, con Authority e anche un po' dei titoli più vecchi. Quindi, per me, è proprio un pezzo di cuore. Sono anche molto curioso, perché non mi sono arrivate ancora notizie, né soggetti o sceneggiature da leggere.
Proprio qui volevo arrivare, perché, se non sbaglio, tu c'eri quando la WildStorm ha chiuso, eri lì quando ha fatto i bagagli. Non è che c'è la voglia di ricominciare da dove si era interrotto il discorso e magari coinvolgerti?
Sì, era il 2010, se non sbaglio. Per il momento sono sempre in esclusiva con la Marvel. Dalla DC, ultimamente, mi hanno in effetti contattato, ma per una serie nel contesto di Rebirth. Però è sempre una cosa molto a lungo termine, si tratta di Trinity, dove ora lavora Manapul. Anche su questo sono molto cauto, perché, come dicevo, c'è l'idea Image e ci sono altri progetti Marvel a cui si sta pensando.
Quindi direi che c'è movimento attorno al tuo nome. Molto bene. E tu ti senti sempre più a tuo agio nelle tue scarpe americane?
Sì, decisamente. Poi ho la fortuna che le cose stanno andando piuttosto bene e le offerte sono interessanti sotto tanti punti di vista.
A proposito di disegnatori Italiani all'estero, direi che ormai siete davvero in tanti e siete tutti bravi. Mi chiedo, ogni tanto, se c'è un minimo di senso di comunità tra voi, quanta stima godete, come gruppo, da parte degli editori e se ci sia modo di far sventolare meglio il tricolore, rivendicare un po' il fatto di essere una fucina di talenti.
Guarda, secondo me l'attenzione che la Marvel - e non solo lei - dedica agli stranieri dipende dal fatto che i disegnatori americani della nostra età, tra i trenta e i quaranta, sono cresciuti già con i comics e hanno un'impronta visiva e narrativa troppo classica per le correnti di rinnovamento che ci sono ora come ora negli States. Per cercare qualcosa di nuovo e diverso, devono guardare per forza all'estero. Da noi, di gente come me che è cresciuta leggendo anche cose molto distanti dai fumetti americani e ne porta l'influenza, ce n'è molta. E questo è una risorsa. Io, ad esempio, gestisco le scene d'azione in maniera molto diversa da quella classica americana, spezzettandola molto per dare il senso di sequenzialità dei movimenti, di quel che succede sulla pagina. Non è qualcosa che vedi spessissimo nei comics.
Per quanto riguarda il senso di gruppo, mi è capitato di parlare con uno dei dirigenti dei talenti della Marvel. Mi ha detto che gli stranieri più numerosi sono i brasiliani, poi gli spagnoli e poi noi. Non credo che loro vedano uno stile in particolare nel nostro paese, ma valutino semplicemente caso per caso. Da noi c'è una tradizione molto forte e quindi siamo diventati tanti.
La sensazione che ho, a volte, è che però il vostro talento non sia sempre riconosciuto dal nostro pubblico. Venite percepiti dai lettori come parte di un processo produttivo che avviene altrove e non come una bandiera della qualità che il nostro fumetto produce.
Questo dipende dal fatto che il lettore mainstream, molto spesso, si vede recapitare un pacchetto già pronto dalla casa editrice. Se leggi DC o Marvel, hai già un'idea molto forte di quel che ti arriva in casa e, semplicemente, registri il fatto che sono coinvolti anche artisti del tuo Paese. Funziona proprio così. Sinceramente, non posso lamentarmi della percezione che i lettori hanno di noi, anche qui a Lucca dove siamo apprezzatissimi. Una cosa che ho notato è che dipende parecchio dal tipo di pubblicazione e dal seguito che hanno le singole case editrici. Da quando lavoro in Marvel, che in Italia è più seguita di altri prodotti, ho sentito la differenza.
Parlando di Marvel, il tuo rapporto con i personaggi mutanti è ormai lungo. Che stanno passando attraverso discrete difficoltà. Come la vedi?
Lo vedo come un rito di passaggio strano. Io, dopo aver lavorato su All-New e Uncanny X-Men, sono molto legato ai personaggi. Secondo me stanno marciando moltissimo sulle voci che danno i mutanti per spacciati. Il famoso complotto per cui vorrebbero sostituirli con gli Inumani fa gioco alla Marvel, che cavalca l'onda. In più, non si può dire che ultimamente stiano trattando male le serie degli X-Men, dato che ci sono nomi importanti a scriverle e disegnarle.
La mia sensazione, dall'interno, anche alla luce dei dati di vendita, è che non ci sia e non ci sia mai stata la tentazione di ridimensionarle. C'è un po' di gioco del bastone e della carota, per far parlare molto dei personaggi, consapevoli del fatto che non esiste la pubblicità negativa. Poi ora hanno annunciato le nuove serie e mi pare che ci sia grande convinzione.
E comunque direi che non hai dubbi su chi tifare, a breve, tra loro e gli Inumani, giusto?
Sì. Poi, non so, forse io sarò di parte, ma ho letto Death of X #1 e credo che sia veramente impossibile empatizzare con gli Inumani. Il modo in cui sono scritti ti propone i poveri X-Men in grandissima difficoltà e poi, volutamente, la razza inumana che colonizza il mondo. Persino i toni cromatici dei personaggi, secondo me, suggeriscono questa connotazione dei mutanti come vittime e degli Inumani come, non voglio dire i cattivi della storia, ma quasi.
Tornando a parlare di colleghi, tu che fai parte della temperie del rinnovamento del fumetto americano, hai qualcuno che stimi in particolare di quei disegnatori che portano cose nuove nel mainstream? E come vedi questa corrente?
Guarda ho grande ammirazione per Bryan Hitch, che, come molti suoi colleghi della WildStorm di quei tempi, è decisamente sperimentale per molti versi. Il mio preferito, attualmente, credo che sia Frank Quitely. Quel che ti posso dire è che ci sia molta più consapevolezza del fatto che i lettori americani hanno voglia di vedere qualcosa di diverso. Ecco perché usano personaggi secondari, in qualche modo sacrificabili presso i gusti del pubblico, per scommesse su certi autori e certi artisti. Visione, Moon Knight, Hawkeye all'origine di tutto. A volte escono dei capolavori e in altri casi, invece, falliscono, ma senza rischiare nulla. Trovo che sia una strategia notevole, che ci regala spesso delle perle e innalza il livello generale del prodotto.
E, parlando di sceneggiatori, con chi ti piacerebbe lavorare?
Grant Morrison, che al momento è il mio preferito. E poi sarebbe interessantissimo capire cosa significhi lavorare con lui, perché non so se sia uno di quelli che ti concede spazio, se invece è uno molto rigido. Ho grande ammirazione per lui e sarebbe certamente un'esperienza che vorrei fare. Chissà.
Ultima domanda: cosa stai leggendo che ti ha colpito e che vorresti consigliare ai nostri lettori?
Sicuramente Deadly Class di Rick Remender, che mi ha sorpreso. Se pensi a quale sia l'idea di base della storia, non ti sembra particolarmente interessante. Eppure è scritto in un modo, con un'energia adolescenziale che riconosci di aver avuto quando avevi sedici anni. L'intensità con cui il personaggio vive le piccolezze, la voglia che ha di spaccare il mondo e cambiarlo, mi hanno affascinato e le consiglio sia ai lettori più adulti e smaliziati che ai coetanei del protagonista.