Dylan Dog 361: Mater Dolorosa, la recensione
Abbiamo recensito in anteprima una delle storie più attese dell'anno, Dylan Dog 361: Mater Dolorosa di Roberto Recchioni e Gigi Cavenago
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Un ruolo di rilievo è riservato ai suoi genitori, che non vengono mai nominati durante la vicenda: li ritroviamo in un imprecisato quanto remoto passato, a bordo di un galeone, elemento emblematico della saga nata dal genio di Tiziano Sclavi. Sulla nave che attraversa un mare agitato e nero come la pece, Xabaras e Morgana sono intenti a salvare la vita del proprio giovanissimo figlio febbricitante; il primo affidandosi alla ragione e alla scienza, la seconda al bene incondizionato. È un sogno? Una reminiscenza? O forse un delirio dell'Indagatore dell'Incubo, ricaduto nel male oscuro che lo ha quasi ucciso alcuni anni fa, tra le braccia di Mater Morbi, signora di ogni malattia?
In un susseguirsi di ricordi, sprazzi di presunta realtà e allucinazioni, Roberto Recchioni ci svela i prodromi che si celano dietro la ricerca folle di una medicina miracolosa per l'intera umanità che ha perseguitato per tutta l'esistenza il padre di Dylan. Ci riporta a Moonlight, dove il nostro Old Boy ha vissuto con la dolce Marina il suo amore adolescenziale, così come descritto nel seminale Il lungo addio (Dylan Dog 74); ma nel piccolo paese marittimo incontra inaspettatamente il suo nemico mortale, John Ghost, introdotto nelle trame del nuovo corso in Al servizio del Caos (Dylan Dog 341). Il cinico, spietato uomo d'affari (almeno così come appare nella nostra dimensione) ha in serbo per lui una rivelazione e una profezia per ora fumose, ma certamente inquietanti.
Mater Dolorosa è una metafora che travalica le vicissitudini del protagonista per diventare condizione universale. A chi si attendeva un fumetto incentrato sulla continuity, l'autore romano risponde con un racconto cruciale per le aspirazioni della serie, concentrandosi sul lato più complesso e attraente che sempre l'ha contraddistinta: quello esistenziale. Recchioni si mette davvero in gioco nel soggetto e nell'intensa sceneggiatura, scegliendo con coraggio un percorso scivoloso, sospeso in bilico tra poesia e pateticità, uscendone vincente.