Pinocchio, la recensione
Abbiamo recensito per voi Pinocchio, graphic novel di David Chauvel e Tim McBurnie edita da Tunué
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
La storia di questa fiaba è nota a tutti, grazie anche agli adattamenti cinematografici, musicali e a fumetti che nel corso degli anni si sono susseguiti in maniera frequente. Ognuna di queste versioni offriva una lettura differente dell’intramontabile mito del burattino senza fili, e Chauvel (non nuovo a questo tipo di operazioni avendo in precedenza già firmato Il Mago di Oz in coppia con l’artista spagnolo Enrique Fernandez) si immerge completamente nello spirito dell’opera primigenia provando a ricreare lo stesso spirito che anima il romanzo dello scrittore fiorentino.
Unico neo di questo interessante progetto è l’estrema compressione della trama: troppo poche le 88 pagine di questo volume; non ricalcando la struttura del romanzo, tralascia le pause necessarie a far decantare gli avvenimenti, perdendo così incisività e quella funzione didascalica tipica di una certa narrativa di genere. I fatti, quindi, si susseguono senza soluzione di continuità, in un flusso di eventi continuo e dinamico che, se da un lato mantengono alta l’attenzione del lettore, ma allo stesso tempo non lasciano in tempo di godere appieno di tutti i messaggi nascosti dentro questo romanzo grafico.
Inoltre, non dobbiamo trascurare il contesto storico-letterario nel quale venne scritto il romanzo. Sebbene gli adattamenti cinematografici abbiamo offerto un’immagine più edulcorata della storia, Collodi realizzò un’opera in cui si avvertivano forti le influenze di scrittori come Charles Dickens e Giovanni Verga. Del primo ritroviamo quella disillusione tipica di romanzi come Oliver Twist o David Copperfield, dove l’intento pedagogico trova la sua realizzazione tramite le vicende tragiche e negative dei protagonisti; del secondo è evidente l’intento di porre l’accento su quelle classi meno abbienti, sui vinti, riportandone le peggiori virtù. Senza trascurare la forte componente violenta, gotica e grottesca che pervade la prosa collodiana (non dimentichiamo che il primo ciclo di 8 racconti si chiude con Pinocchio che si impicca, a rimarcare il pensiero per il quale Le Avventure di Pinocchio non sono un romanzo per bambini).
Se la storia è conosciuta e il lavoro di scrittura discutibile ma sicuramente riuscito, il valore aggiunto che esalta questo adattamento è l’aspetto grafico realizzato da McBurnie. Il suo tratto è dolce, prediligendo la linea curva a quella spigolosa; ricercato è lo studio a monte delle ambientazioni e degli indumenti che denunciano l’attenzione manicale che l’autore ha riposto in quest’aspetto, elegante. Lo stile realistico con il quale vengono raffigurati i personaggi fa il paio con il naturalismo della narrazione, relegando all’utilizzo di una colorazione pastello il caratteristico aspetto fiabesco. Ma l’autore australiano è abile anche nello spaziare con le soluzioni di luci e colori, passando da atmosfere ariose e vivide ad altre più cupe e oscure pur mantenendo una grande precisione nel tratto e cura dei dettagli.
Non possiamo non menzionare in chiusura l’intelligente traduzione di Stefano Andrea Cresti, bravo nel mantenere l’aspetto dialettale dei dialoghi, simbolo della forte connotazione popolare del romanzo. Un affresco potente emerge tra le tavole di questo Pinocchio, un affresco che permetterà ai più piccoli di avvicinarsi a un classico della letteratura italiana ma, allo stesso tempo, di essere fruito e apprezzato dai più grandi che non potranno non emozionarsi nella lettura di un romanzo sulla crescita, sul valore dei sacrifici e della verità.