Star Wars: Il Risveglio della Forza, la recensione
Uno sguardo sul passato e uno sul futuro, tra formule collaudate e innovazioni: analizziamo assieme la sfida impegnativa di Star Wars: Il Risveglio della Forza
Oggi, giunto alla sua terza genesi, Star Wars si ritrova per la prima volta “orfano” del suo padre e creatore: Lucas ha passato il testimone alla Disney e dietro la macchina da presa si cimenta J.J. Abrams, a modo suo - anche se per vie molto diverse - un wonder boy del cinema spettacolare non dissimile da quello che erano Lucas e Spielberg negli anni 80.
Va detto che dietro Il Risveglio della Forza si muovono esigenze e poteri che vanno ben al di là della semplice opera cinematografica: la realizzazione di Episodio VII aveva il compito di riavviare e rivitalizzare un franchise dalle potenzialità enormi, ma che languiva in stasi ormai da dieci anni, reduce dal crepuscolo difficilmente definibile trionfale in cui si era impelagato con i prequel. Da questa pellicola dipendevano (come poi i mesi a venire e la tabella di marcia Disney/Lucasfilm ci avrebbero confermato) numerose pellicole future, serie televisive, collane a fumetti e storie di ogni genere in confronto alle quali ciò che abbiamo visto finora non sarebbe stato altro che la punta del proverbiale iceberg. Comprensibile dunque la pressione che gravava sul progetto e comprensibile lo scrupolo di non voler rischiare nemmeno il minimo passo falso per poter dichiarare l’operazione “revival” (o risveglio, se preferite) di Star Wars riuscita su tutti i fronti.
Un sottotitolo alternativo efficace di Episodio VII potrebbe essere "Generazioni", perché di fatto l’essenza del film è proprio nel passaggio di testimone, a volte metaforico e a volte molto tangibile, dalla vecchia generazione alla nuova. Sono tutti giovanissimi i protagonisti di questa nuova fase della guerra galattica, anche là dove le scelte di casting potevano essere diverse: al posto delle fattezze austere e spietate del Gran Moff Tarkin dell’inarrivabile Peter Cushing abbiamo i lineamenti quasi imberbi del non meno agghiacciante Generale Hux, come a dire che l’intera generazione di combattenti più esperti è stata spazzata via da qualche cataclisma bellico passato (su cui magari sarebbe bello sapere qualcosa in più) e che i posti in cima alla catena di comando ora sono necessariamente appannaggio di generazioni più verdi per forza di cose.
Questa sensazione di transizione e di rinnovo, di voltare pagina e di trasferire una leggenda del passato nell’epoca presente è sicuramente l’aspetto più intrigante del film e probabilmente quello che farà più parlare nei giorni a venire.
Partendo dalle buone notizie, diciamo subito che i personaggi nuovi sono centrati e convincenti: la protagonista Rey interpretata da Daisy Ridley, in mezza pellicola ci regala un personaggio tormentato e sofferto più di quanto il macchinoso giovane Anakin sia mai riuscito a essere in tre film, e il Poe Dameron di Oscar Isaac - a cui non sarebbe affatto guastato concedere uno spazio e una rilevanza maggiore - ha tutte le carte in regola per diventare lo Han Solo della sua generazione. Fa il suo dovere ma per ora arriva un’incollatura dietro agli altri due il Finn di John Boyega, forse perché la sua storia procede più a rimorchio di quelle degli altri che non avviata su un sentiero personale indipendente.
Sul fronte delle vecchie glorie, è innegabile che questo è il film di Han Solo e di Harrison Ford: non a caso quello che forse era il personaggio più amato della trilogia classica è scelto come mentore e guida della generazione successiva, e forse ci ritroviamo a essere debitori dell’indigesto Indiana Jones e il Teschio di Cristallo, che ci ha mostrato tutti i baratri e le fosse nel narrare le avventure di un eroe invecchiato, consentendo ad Abrams di evitarli: molto più del vecchio Indiana Jones, il vecchio Han Solo è una costruzione memorabile e riuscita, fatta del giusto mix di malinconia e ironia, drammaticità e comicità.
È infine molto interessante, anche se ne è stata sfiorata a malapena la superficie, il personaggio di Kylo Ren, anche lui acerbo e poco più che adolescente, e protagonista di un ribaltamento di prospettive: cresciuto nel lato oscuro ma “tentato dalla luce” e la cui anima è sia il campo di battaglia che il trofeo che si contendono le forze contrapposte: è lodevole la strada scelta da Abrams di proporre un cattivo vulnerabile, fragile e incompleto invece di riproporci l’ennesima variante del Sith mefistofelico. Forse non avrebbe guastato qualche informazione in più e un’immersione più ravvicinata nel suo punto di vista, vista la centralità che la sua figura occupa nello svolgersi degli eventi.
Fatto sta che a livello di sceneggiatura, almeno là dove sceglie l’originalità, Il Risveglio della Forza funziona e appassiona. I fardelli che gravavano i prequel - dialoghi stentati, sceneggiatura sofferta, macchinosità della trama - sono un ricordo del passato, e di questo c’è da rallegrarsi.
Tuttavia Episodio VII ha anche un lato oscuro, probabilmente imputabile al timore reverenziale di cui si parlava all’inizio e alla necessità di non compiere nemmeno un mezzo passo falso per garantire alla saga un futuro solido e longevo.
La via che Abrams sceglie per ottenere questo risultato è una ricostruzione chirurgica - quasi genetica - del capostipite della serie, Una Nuova Speranza, di cui ricalca con un’insistenza ossessiva i temi, le linee narrative e i riferimenti, dal microscopico al macroscopico: un’operazione che nella prima parte del film ha il sapore dell’omaggio, della riscoperta del passato e dell’ironica riproposizione dei “corsi e ricorsi” della storia, ma che nella seconda parte finisce spesso per sopraffare lo spettatore con un eccesso di deja vu e che forse doveva essere esercitata con maggior parsimonia.
E qui il giudizio del pubblico è destinato a spaccarsi: appassionata e sincera lettera d’amore di un regista che è nato e cresciuto come fan della saga originale, o fredda e calcolata formula studiata a tavolino per conquistare il pubblico delle nuove generazioni e riconquistare allo stesso tempo quello delle vecchie? Ognuno di noi, idealisti e cinici, si darà la sua risposta personale: ci limitiamo a segnalare che forse una cosa non preclude necessariamente l’altra e che, data l’importanza di questo primo passo nella nuova era di Star Wars e dopo la mezza sbandata dei prequel, forse era troppo sperare in una scelta più coraggiosa e innovativa, almeno in questa prima fase.
Un pizzico di rammarico c’è, perché tutte le intuizioni originali, dalle storie dei protagonisti al parallelismo tra i conflitti interiori e quelli galattici, sono al posto giusto, e a nostro parere sarebbero stati benissimo in grado di reggere la nuova sfida senza tornare a parlare di ricerche di droidi che contengono dati vitali per la Ribellione o di superarmi di distruzione che saranno a portata di tiro della base Ribelle tra X minuti. Ma in ultima analisi, la scelta di percorrere la strada più sicura è comprensibile e giustificabile.
Il Risveglio della Forza vince la sfida che si era proposto, vale a dire quello di riportare in vita con energia ed entusiasmo una saga che - è bene non dimenticarlo mai - sarebbe stata altrimenti destinata a un graduale e nemmeno troppo lento oblio, ridotta a un fenomeno di nicchia per pochi cultori. Il nuovo Star Wars ora invece si impone all’attenzione del mondo ed è qui per restare. Anche se studiata a tavolino, la formula usata per ricreare in laboratorio Una Nuova Speranza ha funzionato e ci attendono nuove avventure. Ora occhio, però, perché proseguendo su questa strada il prossimo passo sarebbe quello di ricreare L’Impero Colpisce Ancora, vale a dire un seguito più profondo, più sorprendente, più adulto e più viscerale: un’impresa che forse va al di là di qualsiasi formula artificiale e che richiederà scelte di trama e di regia più genuine e personali. La sfida è lanciata e tra due anni vedremo se la nuova generazione di eroi (e di cineasti) saprà vincerla!