Birthright vol. 1: Ritorno a Casa, la recensione

Birthright è un fantasy bipolare, diviso tra passato e presente, tra mondo reale e fantastico, ma che riesca a restituire semplicità e passione al genere

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Ci vuole molto coraggio. Ad affrontare mostri, demoni e draghi, certo. A lottare contro un oscuro signore che minaccia di annettere tutte le terre conosciuteael suo regno di terrore, sicuramente. Ma anche a volersi cimentare in una saga fantasy a fumetti. Perché diciamoci la verità, il filone fantasy in generale, da qualche anno a questa parte, ha inforcato un vicolo cieco. Soffocato da troppi cloni che ambiscono a essere Il Signore degli Anelli della generazione attuale, il fantasy è ad alto rischio, se non di naufragare, quanto meno di impantanarsi in una grossa palude di stereotipi, personaggi e trame ridondanti che nel migliore dei casi offrono una piacevole sensazione di déja vu e nel peggiore suonano telegrafati e prevedibili fin dalle prime pagine.

Peggio ancora, Birthright ambisce a essere una saga che in mancanza di un termine tecnico più preciso proveremo a definire come modern fantasy o urban fantasy, vale a dire quel filone in cui i mondi fiabeschi di turno alternano e intrecciano le loro sorti con quello reale odierno: un genere che nei casi più fortunati è riuscito a ricavarsi un suo pubblico di nicchia o di aficionados (Labyrinth, La Storia Infinita) ma che più spesso è scivolato via tra il fallimentare e il dimenticabile. Insomma, i pronostici di partenza sarebbero tutt’altro che favorevoli per Ritorno a Casa, il primo capitolo della saga fantasy realizzata da John Williamson e Andrei Bressan che dichiara in modo molto esplicito il suo genere d’appartenenza fin dall’immagine di copertina, e non c’è dubbio che qualche lettore in fieri possa essere dissuaso solo dall’idea di dover affrontare “l’ennesimo fantasy” della palude creativa di cui si parlava più sopra.

E sarebbe un vero peccato, perché Birthright, pur confermando le sue radici e i suoi intenti fantasy, è un’ottima storia: non perfetta, ma con molte frecce al suo arco e molte intuizioni felici che superano in numero e in importanza le poche falle e i pochi “rischi” narrativi che questo primo numero ci presenta. Nella fattispecie, ecco la “lista delle imprese” che i menestrelli e i bardi di corte possono narrare a vanto dell’opera di mastro Williamson:

  • Semplicità: Uno dei tanti baratri archetipali che inghiottono molte velleitarie opere fantasy è l’ambizione a voler infliggere al lettore intere cosmogonie nel dettaglio. Per guidare il lettore in una buona storia non è necessario creare ogni minuzioso aspetto di un universo partendo da milioni di anni fa e definendo lingue, razze, culture e usanze di tutte le popolazioni viventi. È uno sforzo creativo che ad alcuni piace e che se svolto con stile può anche risultare interessante, ma appartiene più alle ambientazioni di Dungeons & Dragons che non a una storia a fumetti che necessita di una sua scorrevolezza. Il mondo fantasy di Birthright, Terrenos, è descritto a tinte vivide ed esotiche, ma nella sua essenzialità; e soprattutto ne scopriamo i tratti in maniera graduale e limitata, attraverso gli occhi del protagonista, “uno di noi”, un terrestre. Trovata narrativa che, nella sua semplicità, previene mille problemi di appesantimento di questo tipo.

  • Cast essenziale: Altra deviazione dagli archetipi più ricorrenti è la rinuncia a un cast di decine e decine di personaggi diversi. La storia di Birthright è affidata a un gruppo molto limitato di personaggi: “di qua” la famiglia di Mikey, il protagonista diviso tra i due mondi, e “di là” i suoi compagni d’avventura, con il personaggio principale, adulto in una realtà e bambino nell’altra, a fare da perno di congiunzione tra i due. Altra scelta saggia che permette a ogni personaggio di avere un suo spazio, una sua storia e un suo approfondimento. Si arriva in fondo alla lettura del primo volume di Birthright avendo ben presente il nome, la funzione e la situazione attuale nella storia di ognuno dei personaggi coinvolti. E se vi sembra una cosa troppo scontata da segnalare come pregio... beh, forse non avete letto molti fantasy! :)

  • Imprevedibilità: La lotta tra il bene il male di vecchio stampo, alla Tolkien, è un filone che affascina sempre, ma che è ormai molto difficile da proporre senza cadere nel già visto. Tuttavia anche alcuni degli espedienti narrativi usati per sfuggire a questa ripetitività sono diventati talmente ricorrenti da risultare a loro volta stereotipati: abbiamo tutti nei nostri ripostigli narrativi diverse scorte inutilizzate di eroi che nascondono scabrosi scheletri nell’armadio e di cattivi che in fondo in fondo fanno quello che fanno per motivi giustificabili o sono anime sensibili e tormentate. Williamson schiva entrambi questi archetipi con un trucco molto semplice ma molto coinvolgente, vale a dire fornendoci letture contrastanti e apparentemente inconciliabili della stessa storia, alla Rashomon: l’oscuro signore di Terrenos è sconfitto o regna supremo? Il “guerriero prescelto” che lo ha sconfitto mira ora a salvare la nostra terra o è in realtà un “angelo caduto” al servizio del suddetto oscuro signore? In questo l’autore è riuscito perfino a creare un giallo nel fantasy, fornendoci informazioni frammentarie e contraddittorie, ma sufficientemente coinvolgenti e intriganti da incitarci a voler scoprire la verità.

Come sempre accade in un fumetto seriale, il giudizio definitivo su certe scelte ed elementi narrativi potrà essere dato solo a storia sviluppata o conclusa, ma la scelta di questi stili e di questi ritmi ha per ora consentito a Williamson di mettere in piedi un impianto narrativo coinvolgente e interessante.

Difetti? Ne salta all’occhio uno, che per ora non compromette affatto la qualità della storia, ma che è bene tenere d’occhio: l’uso dei flashback. Le scelte narrative sopraelencate, che favoriscono la linearità, l’immediatezza e la freschezza della storia, obbligano Williamson a far procedere la storia a un buon ritmo, e questo è un bene: alcune situazioni, ruoli e figure vengono chiariti e dichiarati senza perdere troppo tempo o girandoci intorno con troppe allusioni, e questo è un bene, perché la trama ne guadagna in fruibilità e coinvolgimento. Questo gioca molto a favore della trama principale, vale a dire ciò che accade ora sulla Terra ai giorni nostri, ma va a discapito di quella secondaria, vale a dire i flashback che seguono il cammino del protagonista Mickey nel corso della sua prima incursione su Terrenos e dovrebbero spiegarci la sua trasformazione nel “prescelto”. Dato che la narrazione nel presente ha già rivelato chiaramente (almeno per alcune cose) cosa è accaduto in passato, i flashback che raccontano l’”iniziazione” del Mickey bambino, almeno per ora, risultano poco più che dei riempitivi, e purtroppo escono piuttosto sminuiti dal confronto con l’interesse e il coinvolgimento nel filone del presente. Si vuole sperare che non sarà sempre così, anzi la logica lascia credere che prima o poi i flashback ci riveleranno qualche tassello essenziale del passato che sovvertirà la nostra percezione del presente, ma almeno per ora sono costituiti da storielle, queste sì, eccessivamente archetipali e viste molte volte, sul classico addestramento del giovane eroe scettico sulle sue possibilità, e se da un lato va riconosciuto loro il merito di mostrarci il mondo di Terrenos nel modo più vivo, diretto e ravvicinato, va confessato che molto spesso si ha voglia di completarli in fretta per tornare a seguire la trama principale: una nota di merito per quest’ultima, che avvince e coinvolge, ma una carenza che dispiace per i flashback, che forse andavano presentati come più essenziali fin dall’inizio. La speranza è che su questo fronte ci sia una correzione di rotta nei prossimi capitoli.

Un dualismo che è visibile anche nei disegni, anche se in questo caso si tratta probabilmente di una scelta voluta ed efficace: nella linea temporale presente, Bressan fornisce il giusto mix tra realismo e fantastico, mentre nella linea temporale passata, gli scenari di Terrenos sembrano apparire quasi leziosi e barocchi, estremamente carichi di elementi soprannaturali e di colori sgargianti: scelta forse destinata a non incontrare il gradimento degli amanti dello Sword & Sorcery più duro alla Conan (ma che dovrebbero trovare pane per i loro denti nella figura del Mickey adulto), ma che ben si adatta al ruolo irreale e dubbioso che l’intero mondo di Terrenos sii trova a esercitare nelle scelte e nelle convinzioni dei protagonisti attuali.

In conclusione: Birthright è una lettura piacevole e appassionante che dovrebbe sicuramente soddisfare i palati dei lettori fantasy, che troveranno un piatto saporito e gustoso che ormai è una rarità nei menu odierni. Ma è consigliato anche a chi gradisce una storia di azione, avventura e famiglia in generale. Perché come ben sanno i lettori di fantasy più navigati, al di là del meraviglioso, dell’epico e del terribile, ciò che conta è che i personaggi della storia abbiano un cuore e un’anima. E in questo Birthright non tradisce affatto le aspettative.

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