Charlie Hebdo perde Luz, il suo vignettista di punta
Luz lascia la redazione di Charlie Hebdo: troppo grave il carico sia professionale che psicologico per il vignettista
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Luz, questo il nome d'arte dell'artista, è colui che ha realizzato una delle più famose copertine della rivista, quella che celebrava i sopravvissuti all'indomani dell'attentato, ma anche una di quelle incriminate dai fondamentalisti per la presenza di Maometto e quella divenuta simbolo della reazione dei sostenitori della libertà d'espressione, con la scritta "Je Suis Charlie".
Per me è diventato difficile lavorare sull'attualità. Da molto tempo rifletto sulla possibilità di lasciare. Dopo l'attentato abbiamo dovuto ripartire in fretta, fare il numero con la copertina verde. Poi c'è stata la volontà collettiva di accelerare. Anche se io avevo bisogno di tempo, ho seguito per solidarietà, per non lasciare soli gli altri.
Ma a un certo punto il carico è diventato troppo pesante da sopportare. Non siamo in molti disegnatori, mi sono trovato a fare tre copertine ogni quattro. La chiusura di ogni uscita è una tortura, perché gli altri non ci sono più. Passare le notti a invocare i morti, chiedersi cosa avrebbero fatto Charb, Cabu, Tignous è massacrante.
L'abbandono di Luz è un duro colpo per la rivista, già ferita dalle accuse di abbandono e isolamento da parte della collaboratrice marocchina Zineb El Rhazoui, minacciata di licenziamento perché considerata insolvente nei confronti della testata. La El Rhazuoi sostiene di essere stata abbandonata dalla redazione e dalla direzione nel momento peggiore della sua vita, dopo che, avendo fatto da reporter dal Marocco ed essendosi attirata le ire dei fondamentalisti, ha visto il marito perdere il lavoro. Proprio ora, nel momento più buio, rischia il licenziamento, anche se il nuovo direttore di Charlie Hebdo ha recentemente ammorbidito i toni sulla questione.
Fonte: La Stampa