Adam Wild 5: La terza Luna, la recensione

In Adam Wild 5, La terza luna, c'è l'essenza del fumetto di Manfredi: azione, ottimismo, spavalderia e una sete di giustizia che va oltre il sentire comune

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Il vuoto lasciato da Mister No è stato colmato da Adam Wild, non ci sono dubbi. Parliamo di due fumetti ovviamente differenti non solo per ambientazione spaziale e temporale ma per le personalità così marcate dei rispettivi creatori. L'ex pilota Jerry Drake è frutto dello stile compassato e idealista di Guido Nolitta (alias Sergio Bonelli), affiancato dal segno pulito e iconico di Gallieno Ferri. L'avventuriero scozzese e anti schiavista di Gianfranco Manfredi è figlio della moderna e pragmatica interpretazione dell'avventura e dell'onore da parte del versatile autore marchigiano, coadiuvato da un eccellente team di disegnatori internazionali, dal tratto eterogeneo. Tuttavia la coppia di personaggi Bonelli ha molto in comune, a partire dal rifiuto di ogni imposizione, dall'intolleranza per qualunque abuso e prepotenza, alla passione per donne, alcol e guai. Sono in fondo due interpretazioni dell'eroe romantico e contraddittorio ma con una decisa inclinazione all'ottimismo e alla positività contagiosa.

Sono intercorsi nel mentre quarant'anni di storia del fumetto e la soluzione ai torti per Adam Wild corre lungo una via più diretta e meno politicamente corretta rispetto a quella di Mister No. Lo si vede in questo episodio, La terza luna, dai disegni particolarmente carichi, espressivi di Antonio Lucchi. Le sue linee sono vigorose, ricche, il controllo dei chiaroscuri profondo e suggestivo. Si sposa alla perfezione con il tema di questa storia drammatica, in cui il protagonista deve affrontare una terrificante tribù di cannibali, gli Zappo Zap, abituati ad affilarsi i denti e tatuarsi il volto per accrescere la nomea di orrore che li accompagna. Si tratta di una popolazione dell'attuale Repubblica Democratica del Congo, realmente esistita, così come le figure e le vicende principali di questo albo in cui Manfredi infonde grandi dosi di azione e ritmo cinematografico.

Altra caratteristica di modernità della testata è la demarcazione tra buoni e cattivi, estremamente labile. Certo l'antagonista di turno, Frankie Frost e l'aitante Lady Winter sono individui spregevoli con poche altre sfumature, ma sono eccezioni che come si suol dire, confermano la regola. Comparse e comprimari di secondo piano di questo brossurato come l'americano Chuck Anderson e il comandante belga Dufour sono esemplari. Il primo odia i negrieri ma traffica in avorio. Il secondo è un uomo valoroso in battaglia ma i suoi interessi e quelli del suo Paese sono più importanti della vita delle genti locali, i Kuba, tanto da allearsi con gli Zappo Zap per programmarne lo sterminio. In una delle molte, tristi pagine del Colonialismo dell'Africa, la presenza romanzesca di Adam allevia il rimorso di noi europei e ci ricorda che ci fu chi si batté dalla parte giusta, come l'esploratore David Livingstone, a cui l'intero progetto di Manfredi sembra ispirato.

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