Lucca 2014: Doraemon, la recensione del film
Abbiamo visto in anteprima il film in CGI di Doraemon, che arriverà nei cinema italiani tra pochi giorni...
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
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In un'ora e mezza sono infatti racchiusi il primo incontro tra Doraemon e Nobita e qualche esempio delle storie vissute dai due amici grazie alle bizzarre invenzioni che il gatto può estrarre dalla sua tasca: questo avviene prima con un montaggio fin troppo rapido dal quale traspare l'intenzione di concentrare fin troppi elementi in un lasso di tempo troppo breve, poi con un paio di disavventure alle quali viene concesso più tempo per essere sviluppate a dovere. Anche se compaiono i tre nemici-amici di Nobita, la trama si concentra su Shizuka, la bambina amata dal protagonista che sembra essere disposto a tutto per lei; in alcuni momenti le situazioni sembrano però fin troppo melodrammatiche, se si pensa che è comunque un rapporto sentimentale o un tentativo di conquista vissuto tra bambini delle elementari.
Ma la parte principale della trama è dedicata a terminare le avventure di Doraemon nel nostro tempo prima del suo ritorno nel futuro: non è la prima volta che viene creato un epilogo per il gattone azzurro, visto che nel fumetto erano già stati scritti tre finali a distanza di tempo (uno dei quali poi adattato anche in animazione) così da permettere alle diverse generazioni di lettori di congedarsi dal personaggio, visto che crescendo non appartenevano più al target di riferimento del manga. Questo lungometraggio però per la prima volta integra in una sola opera il principio e il termine della storia, organizzando così un finale che riprende direttamente alcuni elementi già presentati in precedenza; assistiamo a viaggi nel tempo in grado di far scaturire paradossi che farebbero rabbrividire ogni appassionato di fantascienza per la leggerezza con cui sono stati concepiti, ma gli eventi presentati sono divertenti e soprattutto consentono di vedere i protagonisti sotto una nuova luce.
Graficamente i modelli dei personaggi sono molto semplici: se questo trattamento ha una resa perfetta per Doraemon, purtroppo lo stesso non si può dire sui fondali abbastanza spogli o sui personaggi umani, con un aspetto plasticoso reso ancor più bizzarro dall'espressività esagerata del volto e dei movimenti del corpo, talmente sopra le righe da rendere più difficile empatizzare con i personaggi.
Un elogio va invece alla visione stereoscopica, che sfrutta costantemente gli effetti 3D anche grazie a diverse scene pensate appositamente per sfruttare questa opportunità, stupendo la pellicola grazie a stratagemmi che possono competere ad armi pari con i colleghi americani.
Nonostante la realizzazione tecnica sia lontana dall’eccellenza dei grandi studi d'animazione e la struttura narrativa sia traballante, il film riesce a far sorridere e regala anche alcuni momenti di forte emozione.
Capiamo perché un sondaggio fatto fuori dai cinema nipponici aveva stimato che l’88% degli spettatori giapponesi avesse pianto durante il film: in patria Doraemon è uno dei personaggi più amati da diverse generazioni la cui infanzia è stata segnata dal gatto robot, perciò la visione di un lungometraggio che riporta in scena un cast di personaggi tanto amati, raccontandone la storia “definitiva”… bé, sicuramente può toccare corde intime e personali per chiunque sia cresciuto leggendo il manga e guardando l’anime di Doraemon.
Forse non avrà un effetto così forte per gli spettatori occidentali, ma bisogna immaginare che per il pubblico nipponico questo film può essere il corrispettivo dell’epilogo di Toy Story 3, durante il quale ci si congeda una volta per tutte dall’infanzia, accettando il passaggio ad una fase successiva della propria vita.
Quindi Doraemon - Il Film, pur con i suoi difetti, è un film che intrattiene e a coinvolgere emotivamente… o almeno fino a pochi minuti dal finale.
Già, perché dopo essere riuscito a dare una degna conclusione a una trama che sembrava difficile da chiudere senza un finale aperto, anche compiendo una scelta coraggiosa, la sceneggiatura torna sui propri passi e corregge quello che probabilmente era il miglior epilogo possibile per questo film.
Il risultato diventa così banale e retorico, oltre a rendere molto meno efficace quella che sembrava essere la morale del film, senza contare un ulteriore aggravarsi dei paradossi temporali del film.
Ecco, se anche noi potessimo contare su uno degli apparecchi ultratecnologici del simpatico gattone azzurro in grado di far viaggiare nel tempo, usciremmo dalla sala 10 minuti prima, così da conservare un’opinione nettamente più positiva di questo lungometraggio.