Alieni blu in Australia: Badcomics.it intervista Pat Grant

Pat Grant ci ha svelato alcuni retroscena sugli alieni blu immigrati e sulla realizzazione di Blue...

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Nell'ambito del nostro speciale dedicato alla collana Psycho Pop (leggi lo speciale), abbiamo intervistato Pat Grant, autore australiano del fumetto Blue.

Ciao Pat e benvenuto su Badcomics.it. Blue è la tua prima graphic novel; quanto tempo hai impiegato per realizzarla?

Ci sono voluti due anni ma molte persone la leggono in circa 20 minuti. Non è straziante?

Aprendo il volume sorprende il tuo messaggio ai lettori in cui li informi dell’esistenza online di “Blue” completo e addirittura suggerisci di consigliarlo e diffonderlo in giro. Si tratta di una procedura frequente nel settore dei webcomic, ma avendo tu un volume cartaceo da vendere, non pensi che questa scelta possa ridurre il numero di copie vendute?

Rifletto un sacco su questa cazzata. A essere onesto sono diventato un po' un folle estremista.
Penso che tra le persone che scrivono storie ci siano due diverse correnti di pensiero sull'idea del materiale gratuito su Internet. Alcuni ritengono una storia come un'opera d'arte che ha un solo compito e un solo utilizzo, come un fazzoletto. Una volta che il fazzoletto è stato usato e appallottolato allora ha perso tutto il suo valore e non ha più ragione di esistere. Per queste persone un investimento di tempo ed energia in una storia o in un disegno è un investimento con un guadagno finito e in continua diminuzione. Se la pensi così sei terrorizzato del fatto che le persone possano ottenere così tanto materiale gratuitamente su Internet.
Il mio modo di pensare è: la mia storia è mia proprietà. Se lascio leggere il mio fumetto agli utenti di Internet, tutti la consumerebbero e io non sarei mai pagato. No. La mia proprietà dev'essere venduta a un prezzo adeguato.
Un altro modo di pensare alla storia o all'opera d'arte è come se fosse un treno merci senza motore, sulla cima di una leggera discesa. Un individuo può aver costruito il treno, ma finché non inizia a muoversi non serve a nessuno. Un treno che non si muove non è un treno, è una costruzione. L'autore può spingere il treno. un po'. Ma senza un gruppo di persone non arriverà da nessuna parte. Più persone spingeranno il treno e saliranno a bordo, più il treno si muoverà, sarà utile e avrà valore. Per me questo è un modo di pensare a una storia molto più costruttivo. Posso averla realizzata io, ma sono i lettori che la leggono, ci riflettono e ne parlano, o scrivono critiche su di essa che la rendono una storia di valore.
Io appartengo alla seconda categoria. per me una storia esiste per avere il maggior numero di lettori possibili, non per farmi fare denaro (anche se sarebbe stupendo se accadesse). Le storie e i disegni migliori non si consumano venendo letti, consumati, condivisi, scambiati o scaricati invece di essere strumenti per arricchire.
In questo momento della mia carriera mi conviene di più essere disponibile su Internet. Conosco molti autori e sento molti racconti oltraggiosi. Un sacco di editori non sembrano sapere quello che stanno facendo e sarei un folle a fidarmi di un editore al punto da lasciarlo custodire la mia tecnica narrativa.

p10Lo scenario in cui si svolge la vicenda è caratterizzato da uno stile cartoonesco ma anche molto ricco di dettagli. Quando hai realizzato i paesaggi li hai creati dal nulla o sono luoghi realmente esistenti, panorami che hai osservato e poi trasformato in modo psichedelico su carta?

Ho scritto il fumetto a un tavolo da lavoro sulla costa sud di Sydney, dove Blue è ambientato in modo non ufficiale. C'è una spiaggia adorabile sotto la collina, una minacciosa scarpata sopra di me e un sacco di spine nella flora australiana che mi circonda. Sembra proprio Bolton. Ho disegnato il volume in uno sporco studio di Melbourne, che è lontano da qui, perciò la creazione dei luoghi arrivava dalla memoria piuttosto che dall'effettiva ricerca visiva.

Gli immigrati sono inseriti nella storia in modo metaforico sotto forma di alieni blu. Già altri autori hanno rappresentato una società di persone con un aspetto fantastico per parlare di una situazione estremamente reale; mi viene in mente La Fattoria degli Animali di George Orwell, Maus di Art Spiegelman, o gli altri “alieni immigrati” del film District 9 di Neill Blomkamp. Come ti è venuta l’idea? Qualcuno di questi ti ha ispirato?

Decisamente sì. Le metafore visive sono qualcosa di molto potente che puoi fare nei fumetti. È affascinante soprattutto per quei lettori con un gusto letterario, gli appassionati di fumetti che  hanno sviluppato un certo gusto visivo tendono a preferire metafore visive più sottili e sto cercando di muovere il mio lavoro in quella direzione.
Una cosa su cui sto riflettendo ultimamente è che i fumetti sono una forma d'arte in grado di sostenere metafore visive in un modo che i film e la letteratura non riescono. I fumetti sono come un intreccio metaforico - abbinando e fondendo metafore visive - i cui singoli elementi possono essere importanti come gli immigranti blu di Blue o i topi di Maus o minimi come un balloon di un dialogo o un simbolo che esprime una sensazione.

Nel 2009 mi scrivevo col grande illustratore Shaun Tan, che mi ha aiutato a sviluppare questo progetto e mi ha mandato via e-mail il cortometraggio su cui Blompkamp ha basato District 9. Ero ... che qualcuno avesse già messo in pratica un'idea simile. Ad essere sincero sono ancora un po' turbato a riguardo, ma c'è quella cosa che dicono a proposito delle idee per le storie: "Non importa l'idea stupida idea ma quello che ci fai".

IMG_9537Come racconti essere avvenuto anche a te e ai tuoi amici, nel finale della storia i tre ragazzi si “arrendono” e lasciano perdere la propria ricerca. È inusuale trovare in una storia dei protagonisti che rinunciano al proprio obiettivo; durante la fase di scrittura hai mai pensato a un finale differente rispetto ai ricordi del tuo passato? E cosa significa quella scena per te?

Sono sempre stato interessato alle storie irrisolte e non concluse. Sembrano qualcosa così vicino alla vita reale. Quando ero un bambino mia sorella mi portava in salotto per guardare pessimi film horror degli anni '80, come Grano Rosso Sangue o La Bambola Assassina. Regolarmente, dopo circa 30 minuti mi spaventavo così visibilmente che mia sorella cambiava idea e mi mandava in camera mia a giocare con le costruzioni. Questa è la cosa peggiore da fare con un bambino, perché tutti sanno che le storie horror più terrificanti sono quelle che rimangono senza una conclusione. Nei mesi seguenti usai la mia immaginazione infantile per creare i finali più emozionanti e terrificanti per quei film. Anni dopo, quanto ho cominciato a guardare film horror e leggere romanzi di Stephen King ho realizzato che la maggior parte dei racconti horror peggiorano nel terzo atto. Diventano stupidi, o sicuri o prevedibili. Mi piace guidare narrativamente il racconto, che è stato il motivo per cui ho mandato inizialmente i ragazzi sui binari del treno ma mi piace lasciare situazioni irrisolte o col finale aperto, perché lo sconforto o la sensazione di disgusto trasmessa dalla storia è qualcosa che non voglio sminuire.

"Blue” ci mostra una piccola realtà in cui è diffuso il razzismo e la chiusura verso l’esterno. Sono elementi che hai percepito intorno a te in modo così evidente anche nella società in cui vivevi da bambino?

Assolutamente sì. Ma non solo nella mia società. In tutte le società.

Nell’articolo che chiudi il volume riveli una certa preoccupazione nei confronti della scena fumettistica australiana, che fatica a superare i confini e di cui non rimane testimonianza a lungo termine. Quale pensi potrebbe essere una soluzione a questo problema?

Le cose stanno cambiando abbastanza velocemente. Conosco alcuni australiani che stanno contribuendo attraverso le comunità globali di fumetto. Tumblr sta aiutando davvero molto e gli australiani stanno sprecando meno tempo a lamentarsi e a piagnucolare per lo svantaggiosa posizione geografica e passano più tempo a realizzare lavori abbastanza buoni da essere pubblicati oltreoceano.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Su quale opera sei al lavoro al momento?

Sto lavorando a un libro che ha per protagonisti un gruppo di geni della truffa adolescenti in uno strambo futuro post-industriale. Mi sto divertendo a inchiostrarlo. Potete vedere un piccolo teaser a questo indirizzo: http://www.patgrantart.com/ambientyeast/ay.html
Inoltre, ho realizzato questa storia su mio padre recentemente che, penso, potrebbe essere la cosa più popolare che io abbia mai fatto: http://www.patgrantart.com/toominavideo/toorminavideo.html
Potete ascoltare una lettura di questa storia fatta dal vivo alla Sydney Opera House: http://radiowithpictures.com.au/2013/10/25/toormina-video

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English Version

Hi, Pat, and welcome to Badcomics.it. “Blue” is your first graphic novel; how long did you take to complete it?

It took two years but most people read it in about 20 minutes. Isn't that heartbreaking?

When you open the volume, the message in which you inform the readers that the whole “Blue” experience is available online and actually encourage them to recommend it and share it comes as a surprise. This is a common procedure in the webcomic field, but as you have a paper comic to sale, aren’t you afraid that this choice may reduce you sale numbers?

I think about this shit a lot. To be honest I’ve become a bit of a wingnut zealot. Here’s how I feel: among the people who make stories there are two different ways of thinking about the idea of free stuff on the internet.

Some people talk about a story or a work of art as something that has a single function and a single use, like a napkin. Once the napkin is used and scrunched up into a ball then it loses all value and has no reason to exist. For these people an investment of time and energy in a story or an artwork is an investment with finite and diminishing returns. If you think like this then you're terrified of the fact that people are getting all this stuff for free on the internet. The way of thinking is: my story is my property. If I let my story be read the citizens of the internet will make it all wilted and gooey and no one will want it. The story will be used up and I’ll never get paid. No. My property must be sold for a fair price.

Another way of thinking about it is that a story or a work of art is like a freight train with no engine sitting at the top of a gentle slope. The one individual might build the train but until it begins to move it isn’t much use to anyone. A motionless train isn’t a train it’s a building. The author can push the train. A bit. But without a bunch of people it will never get anywhere. The more people who give the train a little push and jump on, the more momentum the train has and the more useful and valuable it is. For me this a far more useful way of thinking about a story. I might make it, but it’s the readers who look at it, think about it, talk about it and write criticism about it that make a story valuable.

I’m in the second camp. For me a story exists to have as many readers as possible, not to make me money (although that’d be lovely if it ever happened). The best stories and artworks don’t get used-up by being read, consumed, shared, ripped-off and downloaded instead they get enriched.

On top of that at this stage in my career it’s just better business to be all over the internet. I know a lot of authors and I hear some pretty outrageous stories. A lot of publishers don’t seem to know what they are doing and I’d be a fool to trust a publisher to be the custodian of my storytelling practice.

p10The story’s setting features a cartoonish style, but it is also very rich in details. When you made the landscapes, did you create them from scratch or are they inspired by real places, vistas which you experienced and then you psychedelically translated on paper?

I’m writing this at a desk on the coal coast south of Sydney where Blue is unofficially set. There’s a lovely beach down the hill, a looming escarpment above me and a lot of thorny, unforgiving Australian flora all around. It looks exactly like Bolton. I drew the book in a dingy studio in Melbourne though, which is far from here, and so the creation of place was from memory rather than from proper visual research.

Immigrants are featured in the story  as a metaphor, in the shape of blue aliens. Other authors have already depicted a society whose members had a fantastic appearance to describe a very real situation; Animal Farm by George Orwell, Maus by Art Spiegelman, o other “immigrant aliens” from the District 9 movie by Neill Blomkamp all come to mind. How did you get this idea? Were you inspired by some of the aforementioned examples?

Yeah, definitely. Visual metaphor is a very powerful thing you can do with comics. It’s especially engaging to those readers on the literary end. Die hard comic nerds with advanced visual literacies tend to prefer more subtle visual metaphor and I’m trying to move my work in that direction.

One thing I’ve been thinking about lately is that comics as a form have a remarkable capacity for sustaining visual metaphor in a way that film or literature does not. Comics is actually a kind of metaphor thatchwork  a layering and weaving together of visual metaphors — and the fibres can be vast  like the blue migrants in Blue or the mice in Maus or fleeting like a wobbly speech balloon or a weird improvised piece of emanata.

In 2009 I was writing to this great illustrator called Shaun Tan who helped me get this project off the ground and he emailed me the short film upon which Blompkamp based District 9. I was dismayed that someone had already put a similar idea into practice. I’m still a bit dismayed about it to be honest, but, you know, there’s that thing they say about high concept narratives. “It’s not the dumb idea it’s what you do with it.”

IMG_9537You say that the three boys “give up” and abandon their quest just as you and your friend did. It is unusual to read a story where the main characters abandon their goals; when you were writing the story, have you ever thought about a different ending concerning your memories? What does that scene mean to you?

Firstly the character called Verne is actually a girl. A horrible spotty girl but a girl nonetheless.

I’ve always been interested in the unresolved and unfinished narratives. It seems somehow true to life. When I was a kid my sisters would take me into the loungeroom to watch bad 80’s horror films, like Children of the Corn or Child’s Play. Invariably, at about the 30 minute mark I would get so visibly frightened that my sisters would change their minds and send me to my room to play with blocks. This is the worst thing to do to a little kid, because as everyone knows, the most terrifying horror story is the one that remains unfinished. In the months that followed I used my little-kid imagination to create the most thrilling and terrifying conclusions to those films. Years later, when I started watching horror films and reading Stephen King novels I would realise that most horror stories defuse themselves in the third act. They get silly, or safe or predictable. I like narrative drive in storytelling, which was why I send the kids up the trainline in the first place but I like to leave things unresolved or open-ended sometimes because the discomfort, or the yucky feeling that the story gives is something that I don’t want to be defused.

 “Blue” shows us a small reality where racism and mistrust towards who is different are common. Did you perceive there traits so explicitly in the society in which you grew up as well?

Absolutely. Not just my society. All societies.

In the foreword you mention a certain concern about the Australian comics scene, which is hardly known abroad and which is lacking a log term representation. In your opinion, what solution could fix this problem?

 Things are changing quite quickly. I know quite a few Australians who are contributing to global comics communities. Tumblr is really helping a lot and Australians are spending less time pissing and moaning about geographical disadvantage and more time making work that is good enough to be published overseas.

Can you tell us something about your future plans? What are you working on at the moment?

I’m working on a book about teenaged con-artists in a weird post-industrial future. Having fun with ink washes. Check out a little teaser here.

Also, I did this story about my old man recently which, I think, might have been the most popular thing I've ever done. --->  http://www.patgrantart.com/toominavideo/toorminavideo.html

Live reading at the SYdney Opera House here ---> http://radiowithpictures.com.au/2013/10/25/toormina-video

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