Moby Dick, la recensione
Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.
Ora lo stesso destino è toccato a Moby Dick, adattamento del celebre romanzo di Herman Melville pubblicato per la prima volta in due puntate apparse su "Topolino 3003 -3004".
La prima domanda che sorge spontanea di fronte a una tale operazione è: com’è possibile racchiudere una trama nata all'interno di un tomo di oltre 500 pagine, in sole 70 pagine di fumetto?
Si tratta di un’operazione quasi impossibile, nella quale inevitabilmente si perdono molti dettagli e aspetti del romanzo, primo tra tutti lo scorrere del tempo durante la ricerca della temibile balena bianca. Per riuscire a rendere onore all’opera originale era necessario restituirne l’essenza, e in questo Francesco Artibani è riuscito a catturarne lo spirito ricreando scene di tensione e riflessione che difficilmente si vedono in un fumetto Disney. La mossa vincente più importante però è stato il casting effettuato nel processo di ideazione della storia: l'intelligente scelta di un capitano Quachab interpretato da Paperone crea un naturale parallelismo tra l’ossessione di Achab per Moby Dick e quella del papero miliardario per la sua Numero Uno, tratteggiandolo con lo sguardo torvo e i modi bruschi che aveva nella sua prima apparizione nella storia Natale sul Monte Orso.
E come lui, anche Qui, Quo, Qua si riavvicinano alla caratterizzazione con cui li aveva creati Carl Barks, ovvero tre bambini pestiferi che in questo caso sono anche indigeni clandestini a bordo della nave. Ogni personaggio è caratterizzato in modo fedele alla sua natura, ma senza legarsi troppo allo stereotipo perpetrato da anni: basti pensare ai Bassotti, perfetti mozzi a bordo del Pikuod, liberati graficamente dalla loro mascherina nera, senza la quale sono comunque riconoscibili e che se presente sarebbe sembrata soltanto un forzato rimando al contesto paperopolese nel quale operano abitualmente.
Le tavole di Paolo Mottura, arricchite dai colori di Mirka Andolfo, sono una vera e propria gioia per gli occhi. Ricche di dettagli, spesso cupe, sono un manifesto di come i personaggi Disney si possano rivolgere anche a un pubblico adulto, visto che difficilmente qualcuno anche solo sfogliando distrattamente l’albo lo potrebbe bollare come un prodotto da bambini. Lo stile caratteristico dell’autore, con vestiti e piume dei personaggi che si “arricciano” alle estremità, qui può sbizzarrirsi nel creare immagini gotiche, anche grazie a tavole dove non c’è una singola vignetta che presenti un’inquadratura banale, dando una dinamicità alla lettura degna dei registi cinematografici più virtuosi. L'ingresso in scena della balena bianca poi è in grado di togliere il fiato, una potenza visiva che non può lasciare indifferenti e che finalmente viene valorizzata dalle dimensioni di questo volume, visto che la prima pubblicazione "Topolino" rendeva la tavole quasi caotiche.
La ristampa presente in questo volume è arricchita da meravigliose illustrazioni, bozzetti, studi dei personaggi e un lungo reportage che descrive un fittizio viaggio fatto dai due autori per documentarsi sulla storia, nel quale si mescolano aneddoti inventati in grado di strappare più di un sorriso e effettivi retroscena sulla creazione del fumetto.
Queste ristampe prestigiose di storie Disney stanno diventando quasi un appuntamento fisso annuale, donando ad alcuni fumetti la nobiltà che si meritano e che non hanno all'interno di un settimanale come "Topolino" con una qualità media inevitabilmente più bassa. Considerando la popolarità dei personaggi e il carnet di autori di altissimo livello che Disney può sfruttare viene quasi da chiedersi: perché non vediamo più spesso storie così prestigiose e volumi come questo?