Dodici, Zerocalcare, la recensione
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Un piano di fuga c'è, in realtà. Er Paturnia, ex bullo del palazzo, vuole requisire un pullman e andare verso Roma nord, dove pare ci siano sacche di resistenza. Gli zombie, che siano vittima di un contagio o di un capriccio della Morte incarnata, sono dappertutto ormai. Rebibbia è un quartiere morto. Non che sia mai stato troppo vivo. Ma era il loro. Va abbandonato, senza guardarsi indietro. Il piano di fuga va male, Zero e i suoi vengono abbandonati dai fuggiaschi. In più, Zerocalcare è stato vittima di un'aggressione. Colpevole ignoto. Gli altri lo trovano svenuto in cucina, perde sangue dalla testa. L'autobus è andato. Unica speranza: recuperare l'auto di Ermete (che sta all'angolo), fuggire con essa, salvare la pelle e trovare un medico per Zero. Tra combattimenti all'arma bianca coi vicini che vogliono mangiarti il cervello.
Dodici è questo: metà avventura e metà affresco di Rebibbia. Un affresco dipinto a là Zerocalcare. Con gli stessi toni malinconici, le paure post-adolescenziali, lo sguardo pieno di dubbi e di sensibilità del tutto particolare a cui Zero ci ha abituati. Un mondo intero in un quartiere, che ora sta crollando su se stesso. Non mancano nemmeno le gag tipiche del blog, de La profezia dell'Armadillo, di Un Polpo alla Gola. I personaggi della pop culture anni Ottanta, le personificazioni nerd di sentimenti e convinzioni del Secco, che si scontrano con la pragmaticità di Katja, donna tutta d'un pezzo e persona normale (sì, ma che ci faceva a Rebibbia quando è scoppiato il finimondo?). Lo stile grafico e quello comico di Zero sono perfettamente conservati all'interno di Dodici.
Insomma, tanta carne al fuoco. Ma questo non è Un Polpo alla Gola e Zerocalcare non è quello di un anno fa. Un autore cresciuto e più maturo, che riesce a non perdersi nelle pieghe della narrazione. Zero è riuscito, in Dodici, a integrare storia e momenti comici, utilizzando i secondi per definire i personaggi, per farci entrare nella psicologia folle (ma dannatamente simile alla nostra) del Secco e di un'intera generazione che ha formato i suoi valori sulla cultura nerd. Regalandoci, in più, un ritratto struggente del suo quartiere e ricordandoci perché Zerocalcare è uno dei più grandi successi del fumetto italiano contemporaneo.
Ieri, in coda fuori dalla fumetteria milanese dove si distribuiva il volume in anteprima, un'amica poco coinvolta nel mondo del fumetto mi dice che "le cose che scrive Zerocalcare le ho già pensate io, o le avrei volute scrivere io, uguali". Una cosa simile l'ho pensata leggendo le considerazioni contenute in Dodici sull'appartenenza. A un luogo, una città, un quartiere. Sul coraggio di andarsene, ammesso che di coraggio si tratti. Anche in un'avventura zombie apocalypse, Zerocalcare trova il modo di essere rappresentativo dei sentimenti. Non teme la sensibilità e ha trovato un suo personale gioco di metafore, mistificazioni e personificazioni per far passare concetti di una certa profondità per delle idiozie giocose. Zerocalcare è Peter Gabriel che si traveste da statua della libertà per vincere la paura del palco, si maschera per poter essere sincero. E, così facendo, lo è fino in fondo. Non è poco. Soprattutto se hai il talento artistico, la riconoscibilità di stile e ora anche la sapienza narrativa di Zerocalcare. Ottimo lavoro.