Walt Disney è ancora vivo a 50 anni dalla sua morte?
A 50 anni dalla sua morte vi parliamo degli ultimi anni di Walt Disney e dell'evoluzione del suo impero
Nato a metà degli anni '90, appassionato di cinema, serie TV e fumetti, continuamente in viaggio e in crisi con se stesso. Ama i pinguini e non certo per questo si è ritrovato a collaborare con BadTaste tra festival, interviste e approfondimenti.
Amato da intere generazioni nate e cresciute con e insieme a lui, come pioniere dell’animazione e grande innovatore. Spesso tacciato come “nazista”, “massone”, “misogino” o “satanista” dal pubblico inciampato nei suggestivi video di You Tube e cresciuto negli amati anni ’90, agli albori dell’esplosione della moderna comunicazione digitale.
Ma la sua vita, quella dietro le telecamere, non è stata rosa e fiori.
Come tutti i suoi personaggi, spesso caratterizzati dall’assenza di figure genitoriali e da inizi burrascosi, anche lo Zio d’America non può vantare una felice infanzia.
Gli anni passati a vendere al freddo i giornali editati dal padre, l’aggressività di quest’ultimo, il tempo passato in guerra (seppur non sul fronte) non l’hanno di certo aiutato a preservare la sua salute. Allo stesso modo, egli stesso non ha mai saputo proteggerla nella vita. Difatti, famosa era la sua predilezione per le sigarette e l’alcool. Meno celebri, forse, le conseguenti crisi personali che negli anni ’60, in un momento di massimo sforzo per il suo impero, si facevano sempre più sentire.
Nonostante i problemi di produzione per La Bella Addormentata Nel Bosco e di realizzazione per Disneyland, ad Anaheim, queste sue due emblematiche creature stavano finalmente dando i loro frutti e, parallelamente, la sua ultima figlia, Sharon, stava per sposarsi.
Sembrano ben lontani i giorni in cui lottava per i diritti della sua creatura più famosa, Mickey Mouse, o in cui chiedeva prestiti per poter dar vita all’ennesima scena ideata per Biancaneve e i Sette Nani.
Eppure, questo momento apparentemente idilliaco della sua vita non ebbe gli effetti ristoratori che potrebbero avere nella vita di altre persone.
L’Uomo dei Sogni aveva bisogno di un nuovo progetto al quale legare anima e corpo. I successi dei film ai quali non aveva lavorato o che lo avevano meno entusiasmato, come Zanna Gialla, non lo aiutarono al punto che al Los Angeles Times rispose in una intervista che “nessuno poteva andare avanti in eterno”.
Nuove energie, fortunatamente, arrivarono con l’uscita de La Carica dei 101, un film che gli sembrò decisamente fabbricato sotto il suo marchio, al punto da farlo allontanare dalla paura per la morte o, e qui ironizziamo cavalcando leggende metropolitane, dall’interesse per la criogenia che lo stava affascinando.
Spinto da questa forza si cimentò in uno dei suoi migliori lungometraggi per famiglie nonché suo ultimo vero capolavoro: Mary Poppins. Da circa tre anni a questa parte, grazie a Saving Mr. Banks, potremmo evitare di raccontarvi la storia che aleggia dietro la produzione del film di Robert Stevenson.
Le uniche precisazioni che potremmo fare per diritto di cronaca è che, come riportava il copione originale della recente uscita cinematografica prima di passare nelle mani della The Walt Disney Company, Walt Disney fu decisamente più rigido sulle molte scelte produttive del film. In fondo P.L. Travers (non osiamo chiamarla in altro modo) poteva proferire parola solo sul copione e non sul film.
Quello fu uno dei progetti che più lo tennero impegnato nella sua vita, dal 1961 fino al 1964. Forse, prima di questo adattamento, solo Biancaneve e i Sette Nani lo aveva coinvolto tanto raccogliendo, una volta distribuito, lo stesso calore da parte del pubblico.
In un certo senso aveva finalmente realizzato la storia della propria famiglia sul grande schermo, trovando così un modo per mostrarla velatamente al mondo, agli spettatori, sua nuova e vera casa, piangendo e ridendo con loro.
Dopo aver lanciato una scuola di formazione per artisti e suoi futuri collaboratori (vi dice nulla CalArts?) sebbene con meno interesse e piglio, all’inizio della produzione de Il Libro della Giungla, nel 1966, fu costretto a fermarsi nuovamente per un ritorno degli stessi malori che non lo abbandonarono mai più. Definito “il modo più festoso di salutarlo”, il film basato sul romanzo di Rudyard Kipling fu un altro grande successo pieno dello spirito dell’uomo visionario che, tuttavia, non ebbe l’occasione di vederlo concluso.
Il 15 Dicembre del 1966, dopo aver festeggiato appena dieci giorni prima con la moglie e le figlie il suo 65esimo compleanno, Walt Disney moriva guardando le luci dei suoi studi, immerso nel tepore delle coperte del proprio letto, nella sua dimora, situata proprio accanto la sede del suo impero. Roy, il fratello-banchiere con il quale era sempre stato in aperto dibattito, aveva dato l’ordine di lasciarle accese.
Era evidente che il cancro, conseguenza delle cattive abitudini che nella vita aveva sempre portato avanti, non era stato debellato con l’asportazione del polmone sinistro. Il male si era lentamente propagato all'interno del suo corpo e non era ormai più gestibile. Un collasso circolatorio, giunto quella notte, gli fu fatale.
Tutto il mondo lo pianse, amici e nemici.
Ma la vera vittoria di quell'uomo tanto in lotta con se stesso non sono stati i 29 Oscar, i 4 Emmy, la Medaglia della Libertà del Presidente e le altre onorificenze conseguite in vita, tanto meno le tante ricchezze ottenute. Nulla di tutto questo placò mai i dolori della sua anima.
Il suo vero trionfo è stato il modo di vedere il mondo che aveva trasmesso in maniera efficace e moderna ma soprattutto ottimista. Ai suoi spettatori ha lasciato la voglia di andare sempre avanti guardandosi indietro, di divertirsi facendo l’impossibile e di sognare e non abbandonare mai i propri obiettivi.
A 50 anni dalla sua morte, tuttavia, sembra che per coloro che dirigono il suo impero questa eredità non sia più così viva e forte.
Se nel 1940 lo stesso Walt Disney era stato riluttante all’idea di riportare sul grande schermo personaggi già visti e di successo come Biancaneve e i Sette Nani (se non in corti di propaganda o educativi), decidendo al contrario di rieditare sue opere (persino gli insuccessi al botteghino come Fantasia) per far rivivere allo spettatore avventure senza tempo, oggi ogni sua volontà sembra esser dimenticata.
L’originalità e la voglia di sperimentare nuove strade sembrano essere un ricordo lontano.
Difatti, a neanche tre anni dall'uscita di Saving Mr. Banks, la The Walt Disney Company è pronta a produrre il seguito di Mary Poppins. Inoltre, dopo quasi ottanta anni dall’uscita nelle sale di Biancaneve e i Sette Nani, la principessa del 1937 avrà ben due nuove reinterpretazioni contro le quali lottare per la propria sopravvivenza seguendo il filone cinematografico iniziato con Maleficent – Il Segreto della Bella Addormentata e proseguito in modo ben diverso con Cenerentola o Il Libro della Giungla.
Tutti gli sforzi del fondatore di un vero e proprio mondo sono pronti per essere rasi al suolo con nuove produzioni che come unico vanto, oltre ai risultati al botteghino, possono vantare solo la forza di nuove tecnologie e il richiamo al passato e alla nostalgia.
E a dirlo velatamente sono un Jon Favreau e un Kenneth Branagh che con i loro ultimi film non hanno potuto fare altro se non rendere maggiormente reali personaggi già vivi nella mente delle persone. Pur allontanandosi da stravolgimenti come quello di Robert Stromberg, il nuovo fenomeno è pronto per essere lanciato ciclicamente da ogni azienda allontanandoci sempre più dal concetto di studio che Walt Disney aveva ideato facendo la differenza e intelligentemente creandosi spazio nella giungla di Hollywood.
Il contenuto sembra aver definitivamente lasciato spazio alla forma.
Il futuro, ora, sono solo le giovani leve che fra un Big Hero 6 e uno Zootropolis sono riusciti a inserire ancora il celebre “se puoi sognarlo, puoi farlo” con Hiro e Judy.
Ma chissà, fra un Frozen 2, un Toy Story 4 e un nuovo La Bella e La Bestia quanto questi nuovi sognatori potranno sopravvivere prima di passare, come avvenuto per Glen Keane o Patrick Osborne, a studi che cercano ciò che la The Walt Disney Company ha potuto sempre vantare grazie alla passione che spingeva e spinge queste persone: la creatività.