Contact: l'universo è in ascolto?

Nel 1997, Contact di Robert Zemeckis condusse il pubblico in uno dei viaggi più affascinanti mai apparsi sul grande schermo

Redattore su BadTaste.it e BadTv.it.


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Se ci fossimo solamente noi nell’universo, sarebbe uno spreco di spazio. A volte, il metodo scientifico si accompagna a una forte dose di buon senso: se l’universo è un sistema efficiente, ha poco senso ritenere che esista soltanto per noi. E’ su questo piccolo e brillante assunto che nel 1997 esce nelle sale Contact, il decimo film di Robert Zemeckis, a tre anni dal successo planetario di Forrest Gump. Tratto dal romanzo del 1985 di Carl Sagan, che ne ha curato con la moglie Ann Dryyan il trattamento per il grande schermo, vede nel copione l’intervento massiccio di James V. Hart (tra gli autori di Hook - Capitan Uncino) e di Michael Goldenberg (sceneggiatore del Peter Pan del 2003 di P.J Hogan). Originariamente doveva essere diretto da Roland Joffe, che nel '95 venne sostituito prima da George Trumbull Miller (regista de La Storia Infinita II, da non confondere con il quasi omonimo George Miller di Mad Max) e poi da Bob Zemeckis. E' Miller a scegliere immediatamente Jodie Foster per il ruolo di Ellie. Sotto la sua supervisione, lo script prevedeva che l’intero globo terrestre fosse inghiottito da un wormhole e trasportato al centro della galassia e che tra i personaggi di contorno, oltre al Presidente degli Stati Uniti, figurasse anche il Papa. Quando il regista chiese cinque settimane aggiuntive per rivoluzionare ulteriormente il copione, la Warner lo licenziò rivolgendosi a Zemeckis, che aveva già declinato la regia in precedenza: “Lo script era splendido fino a una pagina e mezza dalla fine” racconterà il regista, “C’era il cielo che si squarciava e venivano fuori questi alieni angelici che portavano luce dappertutto, non funzionava”. Alla seconda offerta, accettò con la clausola di avere il pieno controllo creativo sul progetto e l'ultima parola sul final cut. Ed ecco che, con il nuovo team in carreggiata, Contact ritrova il suo equilibrio. L’approccio quasi fiabesco di Hart e Goldenberg, il soggetto fantascientifico di Sagan e la regia calda di Zemeckis danno vita a un prodotto ibrido e unico nel suo genere. Parabola romantica sulla filosofia della scienza, l’epopea della dottoressa Arroway è apparentemente ambiziosissima: scomoda l’inflazionatissimo dibattito della coabitazione tra scienza e fede, pone l’eterna domanda se siamo soli nell’universo e solletica il quesito se il potere debba basarsi sulla conoscenza o sul controllo. Da queste basi, Contact poteva essere un colossale vaso di Pandora pronto a perdersi in un bicchiere d’acqua, lasciando inevitabilmente aperte alcune delle questioni filosofiche più dibattute del genere umano. Invece, esce elegantemente dall’impasse concentrando la propria storyline sulla vicenda intima e personale di un individuo fuori dall’ordinario, sullo sfondo di eventi epocali che cambiano il nostro mondo. Di fatto, è lo stesso approccio di Forrest Gump: mentre accadono fatti di portata globale, c’è chi va dritto per la propria strada forte di un’unica grande virtù: l’onestà intellettuale. Forrest ha un quoziente intellettivo basso, Ellie è un genio; ma entrambi sono due giocatori che sparigliano le carte e riflettono la capacità dell’uomo di essere l’unico abitante della Terra in grado di essere artefice del proprio destino. Vediamo perché il film di Zemeckis è uno dei titoli che ha narrato meglio una delle domande incompiute più affascinanti che la nostra specie continua a porsi alzando lo sguardo.

Guida galattica per radioamatori

Chi ritiene che la sfera emotiva di uno scienziato si esaurisca in una mente contorta, dedita all’elucubrazione e al proprio isolamento in una roccaforte di empirismo autoreferenziale, vedrà in Contact una sonora smentita. La mente genuinamente scientifica è perennemente alla ricerca di soluzioni semplici, e fa dell’apertura all’ignoto il modus operandi della vita. Di fatto, l’intelligenza di un bambino prende davvero coscienza di se stessa non appena inizia a ragionare per cerchi concentrici: una volta compreso che il più contiene il meno scopre una serie di ragionamenti che, a effetto domino, stimolano a indagare tutto ciò che è altro da sé. Non è un caso che Contact si apra esattamente con la macchina da presa che, partendo dal nostro pianeta, si allontana sempre più svelando i cerchi concentrici nei quali è organizzato l’universo: sistemi, galassie, nebulose, allargando sempre più il campo fino a che tutto non si assorbe nell’occhio della piccola Ellie, a indicare che non c’è elemento lontano o remoto che non possa essere alla portata della conoscenza umana. E’ un incipit che nel ’97 segna il record del piano sequenza in CGI più lungo di sempre, scalzato nel 2004 dai titoli di testa de L’Alba del Giorno Dopo. Mentre ci si allontana dalla Terra, si possono udire nel cosmo le trasmissioni radiofoniche lanciate dall’uomo nel corso degli anni, chiaramente sempre più vecchie man mano che il campo si allarga: dagli show radiofonici odierni si giunge al discorso di Roosevelt dopo l’attacco di Pearl Harbor, che nel '97 ha viaggiato per 56 anni nello spazio raggiungendo niente altro che una porzione infinitesimale della vastità dell’universo.

La mente genuinamente scientifica è perennemente alla ricerca di soluzioni semplici, e fa dell’apertura all’ignoto il modus operandi della vita

E la piccola Ellie, giovane radioamatrice orfana di madre, ragiona per livelli fin da piccola: dopo aver chiacchierato alla radio con la Florida, espande i suoi orizzonti chiedendosi “Possiamo parlare con Giove? E con quello che viene dopo?” e così via, fino a domandarsi se sia possibile parlare con la madre scomparsa. “Neanche la più potente delle radio arriva tanto lontano” replica suo padre. Giunti a un cerchio al di fuori del quale sembra esserci un muro, c’è chi si affida alla fede e c'è chi, con il metodo scientifico, continua a cercare una chiave di volta. Chi come Ellie non considera la religione un metodo conoscitivo, spesso ritiene privo di significato anche un fantomatico conflitto tra scienza e fede, vedendolo come una sorta di comparazione tra mele e pere. Ellie non conduce alcuna crociata contro l’approccio fideistico (“Non capisco la pertinenza della domanda” replica quando le viene chiesto se crede in Dio) mentre è lei stessa a essere presa di mira dal fanatismo di chi rifiuta ogni possibilità differente dai postulati e dagli assiomi di verità rivelate. Il fondamentalista che la prende di mira ha il volto paranoico di Jake Busey, lo psicopatico Johnny Bartlett di Sospesi nel Tempo di Peter Jackson (prodotto, non a caso, da Zemeckis). Da mente brillante quale è, Ellie crede che la semplicità sia l’ultimo stadio della complessità: “Il rasoio di Occam, lo conosci?” chiede al teologo Ross Palmer, “Sembra il titolo di un film dell'orrore” ribatte lui, “No, è un principio scientifico secondo cui, a parità di fattori, la spiegazione più semplice tende a essere quella giusta. E cos'è più probabile? Che un Dio onnipotente e misterioso creò l'universo e poi decise di non dare alcuna prova della sua esistenza? Oppure, che non solo non esista affatto, ma che l'abbiamo creato noi per non sentirci tanto piccoli e soli?”. Lui la ascolta affascinato, irrequieto e visibilmente innamorato, e le rivela come non gli piacerebbe affatto un mondo senza un creatore benevolo. Quando Ellie gli chiede una prova dell'esistenza del suo Dio, lui replica chiedendole di provare di aver voluto bene a suo padre. Riprendendo uno dei temi cari a Sagan, le posizioni inconciliabili dei due convergono sul fatto che l’assenza di una prova non sia la prova di un'assenza.

Lost in space

Da Galileo a Paperino, tra processi per eresia e viaggi nel mondo della Matemagica, sono in molti a averci ricordato come la matematica sia il linguaggio dell’universo. Nel film di Zemeckis, Ellie scopre un segnale proveniente dal sistema di Vega, che contiene una sequenza di numeri primi e che cela, criptato al proprio interno, il progetto di una macchina adibita al trasporto di un essere umano. Inizialmente le istruzioni sembrano incomplete, ma ragionando in tre dimensioni (o "come un Vegano", che nel 1997 è innanzitutto un abitante di Vega) tutto trova un incastro perfetto e un senso compiuto. Ad aiutare Ellie a svoltare nelle ricerche è il tycoon S.R. Hadden, affetto da un cancro e costretto a vivere ad alta quota per rimandare il più possibile l’appuntamento con la fine. Interpretato da John Hurt, Hadden è l’unico deus ex machina del film e, di fatto, ne è il grande burattinaio: risorse finanziarie pressoché illimitate e niente più da perdere ne fanno un irresistibile bad boy volto a far trionfare la verità contro l’oscurantismo dei governi. Dopo che i fanatici hanno fatto esplodere la prima costosissima macchina, Ellie è in preda allo sconforto. Ma Hadden è un'eminenza grigia più lungimirante di un semplice lobbista: "I potenti della terra si sono dati molto da fare di recente, pestandosi i piedi a vicenda per aggiudicarsi il gioco del terzo millennio. Forse posso darle una mano a rientrare!" rivela a Ellie, svelandole la presenza di una seconda macchina. “Prima regola d'un appalto governativo: perché costruirne una quando se ne possono avere due al doppio del prezzo?” esclama in videoconferenza dalla Stazione Spaziale Internazionale, “Vogliono sempre che sia un americano ad andare su, dottoressa. Lo vuole un passaggio?”.

Ancora oggi, il viaggio di Ellie è fortemente dibattuto e pone quesiti opportunamente aperti. Sul finale, Contact deve conciliare il rigore fantascientifico dell’ipotesi sulla quale poggia con evidenti esigenze di storytelling. Cosa vede davvero Ellie durante la propria esperienza nella macchina? La prima sfida di Zemeckis è quella di costruire un film dal ritmo serrato nel quale la presenza aliena, costantemente evocata, si riserva l’opzione di uscire allo scoperto solo alla fine. Dieci anni prima c’è riuscito James Cameron (floppando, tuttavia, al botteghino) che con The Abyss ha tenuto altissime tensione e curiosità rivelando le creature acquatiche solo in un mirabolante e calligrafico gran finale. L’assunto di Contact è che, almeno in relazione ai mezzi che abbiamo, al momento nell’universo ci sia più da ascoltare che da vedere. Prova ne è che Zemeckis non solo fa delle trasmissioni il vero grande incontro ravvicinato del film, ma assegna anche le intuizioni migliori e la svolta più grande a un personaggio non vedente (William Fichtner, che a distanza di poco sarà il Colonnello William Sharp in Armageddon di Michael Bay). La più vicina delle civiltà aliene si troverebbe a una distanza impossibile da raggiungere se non attraverso un wormhole che buchi lo spazio come un foglio piegato su se stesso: lo stesso che, probabilmente, consente alla Ellie di Jodie Foster di recarsi a circa 26 anni luce dal suo pianeta natale. Curioso che, molti anni dopo, sia proprio Matthew McConaughey a attraversarne un altro in Interstellar. Chiunque abbia contattato i terrestri, utilizza i ricordi di Ellie per comunicare con lei, attingendo a ciò che le è più familiare: la Florida che Ellie immaginava da piccola e il volto rassicurante di suo padre. “Perché ci avete contattato?” chiede lei, “Voi ci avete contattato, noi abbiamo solo ascoltato” replica la sua visione. L’aspetto più interessante dell'incontro ravvicinato di Ellie è l’ennesima ricorrenza dei cerchi concentrici dell’universo: “Tutti vengono qui attraverso quel sistema di trasporto che avete costruito?” chiede Ellie, “Non l’abbiamo costruito noi, non sappiamo chi l’abbia costruito. Se n’erano andati prima che noi arrivassimo” le risponde l’immagine del padre. La vita, in qualsiasi punto nel cosmo, è alla perpetua ricerca del proprio principio primo. Lo ribadiva anche il droide Jude Law in A.I. - Intelligenza Artificiale osservando gli umani che uscivano da una chiesa: “Quelli che hanno inventato noi cercano sempre chi ha inventato loro”. Il film di Spielberg, inseguito a lungo da Stanley Kubrick, proporrà un finale simile con presupposti diversi, nel quale il robot David avrà una visione della madre umana che l'aveva adottato, rielaborata sulla base dei ricordi registrati nella memoria del droide. Il film di Zemeckis ha invece un ultimo atto molto asciutto e meno sentimentale di quanto possa apparire. Ellie comprende immediatamente di vivere un flusso di coscienza indotto dall'esterno: è stato proprio il padre a rivelargli, in tenera età, che non esiste una radio tanto potente da raggiungere chi non c'è più. Grazie al suo viaggio, un primo contatto con una civiltà aliena è finalmente stabilito. Ce ne saranno altri, ma a piccoli passi. Sulla terra, nessuno è in grado di visionare una singola prova del viaggio di Ellie. Agli occhi del mondo, il lancio del modulo della macchina è stato un flop, sganciandosi dal proprio supporto e precipitando in acqua per appena una manciata di secondi. La telecamera di Ellie non riprende nulla, ma sua registrazione dura oltre diciotto ore. James Woods e Angela Bassett sono i due biechi governativi pronti a far passare Ellie per mentalmente instabile per scongiurare la possibilità di una nuova, costosissima, spedizione dopo l’apparente fallimento della prima. Entrambi sanno che Ellie ha ragione, ma la ragion di Stato prevale sulla ricerca della verità. Il primo incarna l'ignoranza al potere, la seconda l'establishment che tutela se stesso. Lui arriva persino a chiedersi come mai un messaggio rivolto a loro non parli la sua lingua, dimenticando non solo che tre quarti del mondo non parla inglese ma anche che gli alieni non conoscono nessuna delle lingue terrestri. Lei riconosce che Ellie ha effettivamente viaggiato per diciotto ore e che la sua versione dei fatti è plausibile, ma affossa il tutto elargendo alla giovane scienziata un finanziamento di consolazione. A Ellie non resta che raccontare al mondo la sua verità, raccomandando ai bambini di non smettere mai di credere che un universo nel quale siamo soli sarebbe uno spreco di spazio. Joss Palmer, credente, sostiene la sua tesi. Ellie, scienziata, chiede un atto di fede. E’ quanto basta ai due per ritrovarsi, ancora una volta, mentre il mondo osserva basito e confuso.

Contact Ross e Ellie

Ellie è la nuova figura messianica del genere umano, profeta di una realtà che, per quanto oscurata dai potenti, possiede una prova ontologica inoppugnabile nella durata della registrazione del rumore bianco. Del suo viaggio, resta la massima che una civiltà enormemente più avanzata della nostra ci consegna a scatola chiusa: “Voi siete una specie interessante, un interessante ibrido. Siete capaci di sogni di tale bellezza e anche di orribili incubi. Voi vi sentite così sperduti, così isolati, così soli, ma non lo siete. Vedi, in tutte le nostre ricerche la sola cosa che rende il vuoto sopportabile siamo noi stessi” rivela, non a caso, la proiezione di un genitore prematuramente perso.

Mission control 

Nel 1997 l’amministrazione Clinton ebbe parecchie grane coi cineasti: si arrabbiò con Wolfgang Petersen, che aveva svelato al mondo gran parte dei meccanismi di sicurezza dell’Air Force One nell’action movie con Harrison Ford, e polemizzò con Zemeckis per l’utilizzo nel suo film dei discorsi dell'allora Presidente, spacciati per comunicati della Casa Bianca in merito al contatto con gli extraterrestri. Curioso, per un regista che aveva visto Ritorno al Futuro citato proprio in uno dei discorsi di fine anno di Ronald Reagan, lo stesso Presidente che l’avventura di Marty e Doc prendeva ferocemente in giro. Al regista arrivò una lamentela formale da Charles Ruff, avvocato che l'anno successivo avrebbe difeso Clinton durante lo scandalo che mise il Presidente a rischio impeachment. Non vi furono cause legali, ma Washington definì “inappropriato” l’utilizzo delle immagini del Presidente a fini di spettacolo. L’addetto stampa di Clinton dichiarò “C’è una gran differenza quando l’immagine del Presidente è usata in un modo che condurrebbe lo spettatore a ritenere che il Presidente abbia detto cose che in realtà non ha mai detto”. Nel film sono stati utilizzati e rimontati due discorsi di Clinton differenti: il primo riguarda il presunto ritrovamento di fossili che proverebbero la presenza di batteri su un meteorite trovato in Antartide nel 1984 e ritenuto proveniente dall’orbita di Marte (il che consente a Clinton di dire che “si tratta di un risultato di enorme impatto portato avanti dai migliori scienziati del globo”). Il secondo è l’estratto di una conferenza stampa nella quale Clinton parla di Saddam Hussein invitando i presenti a non infiammare la situazione e a concentrarsi sui fatti.

Pochi anni prima, Zemeckis aveva riportato in vita una manciata di Presidenti (morti) facendoli chiacchierare con Forrest Gump e portando a casa anche un Oscar per gli effetti speciali, prevalendo su True Lies di James Cameron. Oltre alla Industrial Light & Magic e alla Imageworks della Sony, tra le compagnia che curarono gli effetti visivi di Contact figurano proprio la Weta Digital di Peter Jackson, nel pieno dello sviluppo delle tecnologie che daranno vita alla Terra di Mezzo, e un team adibito al software RenderMan di Pixar, utilizzato per gran parte delle sequenze in CGI. In merito alle immagini di repertorio, alla fine del ventesimo secolo Internet va a 56k e Clinton non può immaginare che ogni singolo potente della terra diventerà protagonista di un qualche meme virale, perdendo di fatto ogni possibile controllo sulla propria immagine. Poco dopo le lagnanze di Washington anche Tom Johnson, a capo della CNN, dichiarò che fu un errore permettere a 13 membri del network (tra i quali Larry King e Bernard Shaw) di apparire nel film.

La controversia maggiore scatenata dal film fu probabilmente dovuta alla scena nella quale vengono consegnate a Ellie delle pillole di cianuro

A riprese non ancora ultimate, Francis Ford Coppola fece causa alla Warner sostenendo che il soggetto di Sagan (che era morto da appena sette giorni) fosse basato su una storia che l'autore aveva partorito con lui in vista di uno speciale televisivo del '75, mai realizzato, intitolato “First Contact”. Accuse che, per quanto ritenute parzialmente fondate (il libro di Sagan sarebbe uscito solo nell’84), caddero con la motivazione che Coppola aveva aspettato troppo tempo per citare in giudizio autore e produttori. Eppure, la controversia maggiore scatenata dal film fu probabilmente dovuta alla scena nella quale vengono consegnate a Ellie delle pillole di cianuro, per suicidarsi nel caso rimanesse intrappolata nello spazio. Nel film appare infatti in un cameo anche l’ex direttore del Johnson Space Center, già consulente di Ron Howard per Apollo 13 e di Mimi Leder per Deep Impact. Chiaramente, la posizione ufficiale della NASA è che nessuna dose di cianuro sia mai stata fornita ad alcun astronauta. Zemeckis dichiarò di aver inserito la scena nel montaggio finale perché in linea con lo spirito del lavoro di Sagan, riconoscendo la diversità delle posizione di chi invece sostiene che l’agenzia spaziale americana non renda pubblici tutti i propri regolamenti interni. Al momento della sua uscita, Contact fu accolto con il plauso di gran parte della critica: Roger Ebert lo paragonò a Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo dichiarando “Film come Contact sono la spiegazione del perché film come Independence Day mi lasciano insoddisfatto”, mentre James Berardinelli lo mise sul piano di 2001: Odissea nello Spazio. Con un budget di 80 milioni di dollari, Contact ne incassò a livello globale 171. Certamente, Ellie Arroway ha incarnato in pieno l'incontro più felice tra le domande esistenziali dell'uomo e la propria capacità di mettersi in gioco rimanendo fedele a se stesso: "Io tendo a credere che un'intelligenza così progredita sappia il fatto suo. L'unica cosa che ci vuole da parte nostra è..." - "Fede?" le chiede un giornalista. Lei sorride: "Stavo per dire spirito d'avventura".

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